(segue) Ai camerati di Tripoli
(17 marzo 1937)
[Inizio scritto]
Camerati di Tripoli!
Risale all'aprile del 1926 la mia
prima visita alla vostra città e a questa terra. Undici anni
sono passati, ricchi di eventi, carichi di destino, fulgidi di
gloria.
Oggi la Libia è
completamente occupata e il tricolore della Patria vi sventola
solenne e rispettato, dalle sponde del Mediterraneo alle profondità
desertiche di Cufra. Ma, quello che più conta, la Libia è
oggi completamente pacificata.
E le spontanee, entusiastiche
dimostrazioni tributate all'Italia fascista dalle popolazioni
musulmane in questi giorni, ne costituiscono la irrefutabile
definitiva prova.
Le direttive di Roma furono
saggiamente e metodicamente applicate da tutti i Governatori e, in
quest'ultimo periodo, dall'attività instancabile, geniale e
tenace del Governatore Maresciallo e Quadrunviro Balbo.
Le popolazioni musulmane sanno
che, col tricolore italiano, avranno pace e benessere e che le loro
usanze e, soprattutto, le loro religiose credenze, saranno
scrupolosamente rispettate.
Nel 1926 io venni qui per dare
quello che fu chiamato, e come tale rimase nelle cronache, uno
scossone alla Colonia. I risultati sono visibili agli occhi di
chiunque: le città si sono trasformate e abbellite e nelle
campagne i forti rurali italiani svegliano, col vomero temprato, una
terra che dormiva da secoli. Corona, questa opera di trasformazione,
la Litoranea libica, impresa gigantesca, che soltanto ingegneri
italiani e operai italiani potevano portare, come hanno portato, a
compimento, in termine di tempo rapidissimo.
Questa strada, che attraversa la
Sirtica che non fu mai percorsa da ruota di uomo, è un titolo
di orgoglio per noi, ma potrebbe e dovrebbe esserlo anche per quegli
europei che siano degni di questo, che, almeno una volta, fu un
grande nome.
(segue...)
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