Ai musulmani di Tripoli e della Libia
(18 marzo 1937)
Il viaggio del
Duce in Libia si avvia verso la sua conclusione; ma non ancora è
stata pronunciata la parola forse più attesa: il saluto alla
popolazione musulmana che rappresenta il vasto mondo dell'Islam.
Questa parola sarà
ascoltata con la stessa ansia dalle genti arabe e dalle diplomazie
europee; dalle prime, perché anelano sentirvi la solidarietà
fascista per il mondo islamico, dalle seconde perché temono e
tremano al pensiero che il mondo musulmano possa idealmente
raccogliersi sotto la protezione di Roma.
È la sera
del 18 marzo. Nella giornata, il Duce ha assistito ad un'azione
tattica, ha ammirato una grande «fantasia» delle truppe
indigene, ha inaugurato e visitato opere pubbliche e scuole, si è
recato infine a Begara, dove lo attendevano 2000 cavalieri arabi.
Quando il Duce è apparso sulla più alta duna, il
triplice grido di guerra «Uled!» lo ha salutato, tra i
rulli frenetici dei tamburi. Allora ha ricevuto l'omaggio della
«Spada dell'Islam», ch'Egli ha snudato, puntandola verso
il sole e lanciando a sua volta il grido di guerra. Quindi, seguito
dai 2000 cavalieri galoppanti, è rientrato a Tripoli,
dirigendosi in Piazza Castello. Tutta la popolazione musulmana lo
attende: tutti i volti sono fissi su di Lui.
Egli arriva a
cavallo preceduto da uno squadrone di zaptié, avendo a fianco
i Littori; assicurata alla sella, ha ancora la spada dell'Islam. Egli
sale, sempre a cavallo, su di una piattaforma di terra pressata;
«Saluto al Duce!», ordina il Maresciallo Balbo, «Uled!»,
urlano tre volte i cavalieri arabi, ritti sulle staffe.
Poi il Duce fa un
cenno di silenzio; e comincia a parlare:
(segue...)
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