(segue) Chiarimenti
(30 maggio 1937)
[Inizio scritto]
La logica che ha guidato Mussolini
nelle sue dichiarazioni al giornalista americano è
inoppugnabile: la gara degli armamenti non può andare —
per nessuna Potenza — all'infinito: ad un certo punto bisogna
fermarsi e allora o si fa la guerra o si smobilita, piombando nella
crisi sociale. Un programma collettivo di una pratica e razionale
limitazione futura degli armamenti permetterebbe di evitare e l'uno e
l'altro corno di questo tragico dilemma già avvertito dalla
coscienza dei popoli.
Le «sinistre» europee
che attraversano da qualche tempo un periodo di delirio bellicista,
hanno o minimalizzato l'intervista o dato di essa spiegazioni
superficiali, tendenziose, arbitrarie.
Si è detto che l'Italia non
può «reggere» nella gara degli armamenti per i
soliti motivi che conosciamo a memoria. La realtà ha smentito
regolarmente — anno per anno — questi profeti balordi che
non conoscono l'Italia. Gli stessi pronostici si fecero prima
dell'impresa africana, che smentì clamorosamente tutte le
profezie dei «competenti» da quelle militari a quelle
finanziarie e politiche.
L'Italia fascista è già,
oggi, formidabilmente armata per terra, sul mare, nel cielo. La mole
dei suoi armamenti si accresce, giorno per giorno, regolarmente,
metodicamente. Un criterio unitario presiede a questa preparazione
organica e profonda che investe tutti i settori della vita nazionale.
Un programma quadriennale di
armamenti è in corso di realizzazione. L'Italia avrà
contro chiunque le armi per difendere il suo Impero ed ha inoltre due
privilegi che nessuno può contestarle: lo spirito del suo
popolo e la sua posizione geografica che condiziona e favorisce la
sua strategia sia per terra come per mare.
Non è dunque col pensiero
rivolto esclusivamente all'Italia che Mussolini ha fatto le sue
dichiarazioni, ma piuttosto per considerazioni di ordine generale. Il
giuoco polemico dei nostri avversari è vecchio e puerile.
Quando i capi delle democrazie autoritarie tacciono, i nostri amici
diffondono l'inquietudine e il sospetto. I dittatori tacciono? Dunque
«essi» preparano qualche tenebrosa macchinazione, qualche
attentato alla sicurezza collettiva, alla pace indivisibile e
altrettanti gassosi luoghi comuni. I «dittatori» parlano
e si dichiarano pronti a trattare per una pace che meriti tal nome e
allora i nemici del Fascismo si dividono il compito: gli uni diranno
che si tratta di un trucco, di una «offensiva di pace»
per cloroformizzare le vigilanze altrui, mentre gli altri
insinueranno che i regimi fascisti — sull'orlo della catastrofe
economica — agitano l'olivo per avere un prestito, per
rinunciare all'autarchia, per evitare la crisi. La malafede dei
«sinistri» non potrebbe essere più evidente col
respingere qualsiasi possibilità di pace. Essi si assumono una
responsabilità che pesa dinanzi alla storia. Quanto all'Italia
fascista — constatata la vanità di ogni tentativo di
accordo — proseguirà nella sua preparazione.
(segue...)
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