(segue) Il discorso di Palermo
(20 agosto 1937)
[Inizio scritto]

      Se dalle frontiere terrestri passiamo alle frontiere marittime e coloniali, noi ci incontriamo con la Gran Bretagna. Ho detto ci incontriamo. Prego quindi coloro i quali si affrettano a tradurre o a tradire i miei discorsi di fare la dovuta distinzione fra un incontro e uno scontro.
      Quando ritorno a riflettere sull'ultimo biennio delle nostre relazioni con Londra io sono portato a concludere che al fondo c'è stata una grande incomprensione: l'opinione era rimasta indietro: si aveva dell'Italia una concezione superficiale e pittoresca, di quel pittoresco che io detesto. Non si conosceva ancora questa giovane risoluta, fortissima Italia. Ora con gli accordi del gennaio ci fu un chiarimento della situazione, poi accaddero degli episodi incresciosi sui quali in questo momento è inutile ritornare. Oggi c'è di nuovo una schiarita all'orizzonte. Considerando la comunità delle frontiere coloniali io penso che si può arrivare a una conciliazione duratura e definitiva tra la via e la vita.
      Così l'Italia è disposta a dare la sua collaborazione, a tutti i problemi che investono la vita politica europea.
      Bisogna però tener conto di alcune realtà: la prima di queste è l'Impero. Si è detto che noi desideriamo un riconoscimento da parte della Lega delle Nazioni: affatto! Noi, o camerati, non chiediamo agli ufficiali di stato civile di Ginevra, di registrare delle nascite. Crediamo però che sia venuto il tempo di registrare un decesso. C'è da sedici mesi un morto, che appesta l'aria. Se non lo volete seppellire per la serietà politica, seppellitelo in nome dell'igiene pubblica.
      E per quanto noi non possiamo essere sospettati di eccessiva tenerezza per l'areopago ginevrino, noi diciamo tuttavia che è superfluo di aggiungere alle infinite divisioni che torturano quell'organismo una ulteriore divisione fra coloro che non hanno riconosciuto e coloro che hanno riconosciuto l'Impero di Roma.

(segue...)