Europa e Fascismo
(6 ottobre 1937)
Da Il Popolo
d'Italia, 6 ottobre 1937-XV.
L'affermazione fatta da Mussolini
a Berlino il 28 settembre dell'anno XV che l'Europa di domani sarà
fascista non tanto per virtù di propaganda quanto per lo
sviluppo logico degli eventi, ha suscitato vivi commenti e non meno
vivaci polemiche.
Questo non ci sorprende. Ci
avrebbe sorpreso il contrario. È chiaro che tutti coloro i
quali rappresentano in questo momento la conservazione e la reazione
— capitalismo, democrazia parlamentare, socialismo, comunismo,
liberalismo e un certo ondeggiante cattolicismo col quale un giorno o
l'altro faremo i conti secondo il nostro stile — siano contro
di noi che rappresentiamo il secolo XX, mentre essi rappresentano il
XIX. Quando noi diciamo che l'Europa di domani sarà fascista,
ci appoggiamo su dati di fatto e precisamente sui nuovi Stati non
soltanto europei che si sono aggiunti a quelli che hanno iniziato il
movimento di riscossa. Non vi è dubbio, ad esempio, che il
Giappone sta liberandosi dai paludamenti parlamentaristici che adottò
poche diecine di anni or sono e che oggi ne arresterebbero lo slancio
vitale. Slancio che noi pienamente comprendiamo e giustifichiamo. Gli
strilli delle donnaccole e i sermoni degli arcivescovi ci fanno
ridere o schifo a seconda dei casi. È pacifico,
matematicamente pacifico, che in caso di necessità
l'Inghilterra non esiterebbe un minuto a bombardare delle posizioni
nemiche come ha fatto, sta facendo nel Waziristan e farà tutte
le volte che lo riterrà giovevole alla salute dell'Impero.
Il Giappone non è
«formalmente» fascista, ma il suo atteggiamento
antibolscevico, l'indirizzo della sua politica, lo stile del suo
popolo lo portano nel numero degli Stati fascisti. Altro Stato che
nell'America meridionale sta liberandosi energicamente dai residuati
dell'89 e scende in campo armata mano contro il bolscevismo, è
il Brasile. Molti Stati in Europa marciano sulla strada del Fascismo,
anche quando affermano il contrario. Si va insomma verso quella
organizzazione politica delle società nazionali che Mussolini
molti anni or sono definì «democrazia organizzata,
accentrata, autoritaria su basi nazionali». Ogni Nazione avrà
il «suo» fascismo; cioè un fascismo adattato alla
situazione peculiare di quel determinato popolo: non c'è e non
ci sarà mai un fascismo da esportare in forme standardizzate,
ma c'è un complesso di dottrine, di metodi, di esperienze, di
realizzazioni, soprattutto di realizzazioni, che a poco a poco
investono e penetrano in tutti gli Stati della comunità
europea e che rappresentano il fatto «nuovo» nella storia
della civiltà umana. Coloro che coltivano delle speranze non
si sa se più folli o più idiote circa l'avvenire degli
Stati totalitari, dimenticano che entrambi sono stati collaudati da
prove severe; per l'Italia dalla vittoriosa impresa africana e
dall'assedio societario di 52 Stati, per la Germania dalla quasi
completa liquidazione del trattato di Versaglia che ha avuto il suo
punto culminante nella rioccupazione della zona renana. Due regimi
che hanno superato queste prove hanno dimostrato la loro forza, la
loro vitalità che si basa sull'adesione unanime del popolo, in
forme e misure ignote a quegli Stati che si sono autodefiniti «grandi
democrazie».
(segue...)
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