(segue) Il delfino romanzato
(12 ottobre 1937)
[Inizio scritto]

      Dopo il 5 ottobre scoppia la solita polemica: gli organi e gli organetti del fronte popolare accusano l'Italia di continuare a praticare il leggiadro nonché educativo esercizio della pirateria: qualcuno osa mettere in dubbio l'esistenza dell'episodio, ma viene letteralmente subissato. Ma poi improvvisamente si fa silenzio. Nessuno parla più del "Basilisco". Ciò appare strano. Era dunque un sottomarine di Valenza, da dove era partita la prima insinuazione contro l'Italia? O il tutto era stato un cattivo sogno di una giornata di mezzo autunno, quando le linee dell'orizzonte sfumano in una chiarità diffusa ben diversa da quella accecante dell'estate? Oppure gli uomini che avevano dato l'allarme avevano bevuto oltre quel limite che non permette più ai comuni mortali — nemmeno ai privilegiati britanni — di distinguere un delfino da un siluro? È noto che le libazioni liquoristiche fanno vedere le cose in un turbinio infernale. Questo può spiegare quanto è accaduto dopo il fantastico attacco dell'inesistente sommergibile e cioè l'inseguimento, il lancio delle «potenti cariche in profondità», l'accorrere di altri caccia e finalmente la macchia di olio pesante alla superficie — segno infallibile che il sottomarino pirata giace squarciato in fondo al mare. Dunque i Comandi locali e l'Ammiragliato hanno creduto che fosse vero. Ma ecco che il 9 ottobre, quattro giorni dopo (si considera questo un periodo di tempo sufficiente per snebbiare il cervello dai fumi anche i più opachi), l'Ammiragliato dirama il seguente comunicato:
      «In seguito ad esaurienti indagini è stato stabilito che l'attacco da parte di un sommergibile contro il cacciatorpediniere britannico "Basilisk" non è avvenuto».
      Alla lettura di questo comunicato la gente in buona fede è rimasta di stucco. Qualcuno ha borbottato fra i denti: «Ma non è una cosa seria!».

(segue...)