(segue) Ai centomila gerarchi
(28 ottobre 1937)
[Inizio scritto]
(La moltitudine prorompe in un
formidabile grido: «Sì! Sì!»).
Ecco perché talune voci che
abbiamo raccolte in questi ultimi giorni, rappresentanti le così
dette opinioni pubbliche, ci hanno fatto sorridere a proposito delle
misure di carattere finanziario, misure logiche, necessarie, giuste,
che il Regime ha adottato e che sono state accolte dagli interessati
— né poteva essere altrimenti — con senso assoluto
di disciplina e leale comprensione.
Noi non possiamo essere misurati
con questi ridicoli metri.
Nell'Italia fascista il capitale è
agli ordini dello Stato; bisogna migrare verso i Paesi beatificati
dagli immortali principi per constatare un fenomeno nettamente
opposto: lo Stato prono agli ordini del capitale.
Camerati!
Con quale seguo noi desideriamo
iniziare l'anno XVI dell'Era fascista?
Il segno è racchiuso in
questa semplice parola: Pace!
Di questa parola hanno fatto uso e
abuso i belanti ovili delle così dette grandi democrazie
reazionarie. Ma quando questa parola esce dalle nostre labbra, di noi
uomini che abbiamo combattuto e che siamo pronti a combattere, (la
moltitudine urla ancora: «Sì! Sì!»), questa
parola ritorna al suo profondo significato solenne e umano. Ma perché
la pace sia duratura e feconda è necessario che sia eliminato
dall'Europa il bolscevismo a cominciare dalla Spagna.
È necessario che talune
stridenti e assurde clausole dei trattati di pace siano rivedute. È
necessario che un gran popolo, come il popolo germanico, riabbia il
suo posto che gli spetta, e che aveva, al sole africano.
È necessario, infine, che
l'Italia sia lasciata tranquilla perché essa si è fatto
il suo Impero col suo sangue, con i suoi mezzi, senza toccare un solo
metro quadrato degli Imperi altrui.
(segue...)
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