(segue) Brusselle
(1 dicembre 1937)
[Inizio scritto]
Mentre il Giappone continuava e
intensificava la sua azione militare, il Governo belga, sempre agli
ordini delle «grandi democrazie», si faceva suggerire da
Londra e da Washington (non si sa chi abbia mosso la prima pedina)
l'iniziativa di invitare tutti gli Stati firmatari dell'ormai
polverizzato Trattato di Washington a una conferenza da tenersi a
Brusselle. La Germania, per quanto invitata, declinava l'invito. Il
Giappone faceva altrettanto.' Ciò nonostante la conferenza si
riuniva a Brusselle.
L'intervento dell'America aveva
sollevato grandi speranze. Le tre democrazie dell'Occidente si
congiungevano. Norman Davis — il prudente Norman Davis, che ha
tagliato la corda con la velocità di un maratoneta quando ha
temuto, per un istante, che lo si invitasse a Londra — Norman
Davis era l'uomo che avrebbe certamente dipanato la matassa. Ora il
primo intervento dell'America in una conferenza europea per l'azione
collettiva, e sul quale intervento il discorso di Chicago aveva
acceso le fiammelle di tante speranze, ha avuto un epilogo quanto mai
infelice. Norman Davis si sarà a quest'ora convinto che non
bisogna mai convocare delle conferenze, la cui inutilità
sarebbe chiara per un bambino.
Che cosa potevano — in
realtà — fare (diciamo fare) i conferenzieri di
Brusselle? Fare la pace? Pessimo sistema quello di una conferenza
nella quale uno degli interessati è assente. Fare o proporre
le sanzioni? Dopo l'esperienza italiana nessuno osa nemmeno
pronunciare questa parola. Mandare una parola di simpatia alla Cina?
È quello che la conferenza ha fatto, ed è il minimo che
poteva fare: ma le parole non aiutano i Cinesi, né fermano i
Giapponesi. A un certo punto la conferenza — dopo le
cortesissime e dure risposte negative del Giappone — ha capito
alla fine quello che era lampante fin dal principio e si è
aggiornata.
(segue...)
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