(segue) Konovaloff
(31 dicembre 1937)
[Inizio scritto]
AL SOLDATO ITALIANO
CHE DIMOSTRÒ AL MONDO
PRIMA SCETTICO, POI ATTONITO,
SEMPRE MALEVOLO
DI POSSEDERE
MAGNIFICATE NEL NUOVO CLIMA
FASCISTA
LE ANTICHE VIRTÙ DEL
LEGIONARIO ROMANO
Il libro del Konovaloff è
interessantissimo. È la guerra vista dall'altra parte. È
un libro unico — rimarrà forse il solo — che
mancava nella già imponente letteratura provocata dalla guerra
africana. Il Konovaloff ci descrive l'ambiente abissino, primitivo,
barbaro, vanitoso: i capi ignoranti e crudeli, nonché
presuntuosi fino a ritenersi i migliori strateghi del mondo; le
gerarchie fanatiche e infette da ogni tara; le popolazioni inerti e
superstiziose. All'inizio delle ostilità i capi ripetevano che
«avrebbero fatto a pezzi gli Italiani come dei montoni».
Ma poi, ai primi contatti, le vanterie calarono. Si riconobbe che gli
ufficiali italiani erano gobos (coraggiosi) e nulla li fermava. Un
capo abissino raccontò al Konovaloff: «Gli Italiani
continuavano la battaglia senza curarsi dei feriti e poggiavano le
mitragliatrici là dove giacevano i nostri caduti». Il
Konovaloff narra quindi la fuga di ras Sejum e la perdita di tutti i
suoi bagagli; cita la sintomatica frase del Negus, che dopo le prime
batoste dice: «Vi prevengo che avremo fra poco degli alleati»;
racconta le fasi della prima e seconda battaglia del Tembien e il
coraggio dei fanti e legionari italiani, che porta sulle labbra di
ras Kassa questa esclamazione: «Non sono Europei questi uomini!
Gli Europei sono prudenti e previdenti, mentre costoro restano allo
scoperto fra i loro nemici. È una pazzia!»
Konovaloff dall'alto di un
osservatorio assiste alla durissima battaglia di passo Uarieu e
narra: «Malgrado le difficoltà del terreno, i fanti
italiani andavano all'attacco in ordine perfetto. Sotto un sole
ardente, sulle sabbie profonde del Tembien, su un terreno ricco di
ripari naturali per il difensore, gli Italiani avanzavano in catena
rada, regolare. Arma usata: fucile e baionetta».
(segue...)
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