(segue) Atto quinto, finora
(5 marzo 1938)
[Inizio scritto]

      Altro imputato il signor Ikramov, che fu già presidente del Consiglio dei commissari del popolo nella Repubblica dei Tartari. Seguono sette minori imputati, il più notevole dei quali è Karangovic, già presidente del partito bolscevico della Russia Bianca.
      Mancano, come si vede, i generali, quantunque si annunzi un altro processo di epurazione nei quadri dell'esercito. Ma ci sono due medici: Levin, primario dell'ospedale del Cremlino, e Pletnev reputato specialista delle malattie di cuore. Pare che questi due ultimi debbano rispondere di sabotaggio nell'esercizio delle loro funzioni professionali.
      Nel complesso è una bella «carrettata», come si diceva ai tempi dell'altra rivoluzione, quella degli immortali principi, il cui centocinquantenario dovrebbe essere fra poco celebrato nel paese d'origine.
      Naturalmente il processo si svolge come i precedenti. Gli accusati sono tutti confessi. Nessuno si difende. Taluni inventano delle colpe immaginarie, per essere — evidentemente — più sicuri di andare al muro o per dimostrare — ipotesi più logica — che la giustizia in Russia e tutta la Russia non è che una specie di manicomio sorvegliato da sanguinari guardiani.
      Il popolo russo è talmente abbrutito, è sceso così vertiginosamente verso la più primitiva delle bestialità, che è forse vano domandare che cosa ne pensa. Ma i capi, i sottocapi, i conducenti del gregge, gli inscritti al Partito — posto che siano ancora dotati di una residuale capacità di raziocinio — che cosa dovranno pensare? E che cosa dovranno pensare gli evoluti e coscienti proletari delle grandi democrazie occidentali, davanti a questa realtà attuale della civiltà bolscevica, che divora se stessa e sparge fiumi di sangue? C'è ancora in giro qualche inguaribile deficiente che osi affermare che «la luce viene dall'Oriente?»

(segue...)