Io vedevo la rivista a numero uscito, come un qualsiasi lettore. Un gruppo di giovani non soltanto romani si era raccolto attorno alla rivista, la quale lanciò l'idea dei Ludi juveniles e ne curò la prima riuscita manifestazione.
Anni indimenticabili di Villa Torlonia! Il mattino io mi alzavo prima di tutti. Ero già vestito, già ero pronto per i miei esercizi quotidiani di equitazione, quando tu e Vittorio entravate per salutarmi prima di recarvi in macchina o a piedi al «Tasso». Alle tredici eravamo tutti riuniti attorno alla grande tavola, dove rimarrà vuota la tua sedia. Nel pomeriggio — dopo le ore dedicate allo studio e ai compiti — venivano a frotte i tuoi amici. Colui che è stato tanto vicino alla tua vita, il Console Reatto, padre di un eroico alpino caduto sull'Amba Uork, si ritirava in buon ordine. Una piccola macchina da ripresa cinematografica girava e tramandava i vostri giochi. Talora erano finte battaglie fra esploratori e selvaggi, tal altra erano gare sportive: scherzi innocenti, oppure ricognizioni nel sottosuolo di Villa Torlonia. Sei tu che penetrasti per la prima volta nei sotterranei del Teatro ed esplorasti insieme con Vittorio e i tuoi amici le catacombe. Poi erano corse in bicicletta o in motocicletta o in automobile per i viali, o di corsa attraverso i prati che a primavera s'infittivano di alte erbe, mentre dalle serre aperte al sole — riverberato dalle grandi vetrate del Teatro — si diffondevano acuti profumi nell'aria. Talora ti arrampicavi a far da vedetta sui grandi alberi del parco meraviglioso vigilato dalla immobile solennità dei pini. Alla sera un po' di cinema e solo in questi ultimi anni il Teatro che tu prediligevi. Oggi la stanza che tu occupavi a sinistra all'ultimo piano dell'edificio è vuota e rimarrà vuota. Sono andato a vederla. Tutto è semplice come tu volevi. È la stanza di un soldato. Nell'angolo ci sono ancora i tuoi libri, ordinati, come ti piaceva. Al pianterreno sempre a sinistra ci sono le tre stanze dove tu trascorrevi buona parte del pomeriggio. Ci sono ancora i tuoi cimeli. I ricordi delle tue cacce africane. Il tuo fucile da caccia grossa. Il tuo casco coloniale. Le tue fotografie lontane e vicine. Il tuo grammofono e i tuoi dischi nella prima stanza. Nella seconda i tuoi libri di scuola. La terza era quella delle riunioni e dei giochi. Talora dopo i dischi era la tua voce che squillava e attraversava il grande viale degli elci. Eri tu che cantavi. La musica ti piaceva e ti ho visto tra le mani — volta a volta — strumenti esotici come il «banio», nostrani come la fisarmonica o la chitarra e una tromba che faceva tremare i muri. Di questa tua passione musicale così parla Vittorio: «Bruno amava molto la musica. Sopportava la musica da jazz ma non ne fu mai entusiasta. Poi si buttò sulla lirica. E l'ambiente lirico gli piaceva. Da buon romagnolo gli piaceva discutere sulle doti di questo o quel tenore o sulle doti di un soprano. Era lieto di scovare qualche elemento buono tra i giovani e son convinto che da vecchio sarebbe divenuto un mecenate del teatro lirico. Aveva moltissimi dischi di cantanti celebri e forse per contrasto all'opinione generale pur amando Gigli preferiva Lauri Volpi. A Pisa, in luglio c'era stata una stagione lirica e Bruno non era mancato una sola sera. E poi gli sarebbe piaciuto saper cantare. Voce ne aveva e spessissimo cantava qualche cosa in falsettone: o il lamento di Federico dell'Artesiana o la serenata del Barbiere di Siviglia o addirittura saltava all'Otello e ad altro. Insomma era un po' fissato. E confesso fui un po' stupito di trovare nella sua camera a Pisa dei dischi di musica sinfonica al mio ritorno da una breve licenza. Bruno infatti pochi giorni prima di morire aveva comprato tutta la V Sinfonia in do minore di Beethoven e se la suonava con gioia. Subito dopo aveva comprato il Capriccio italiano di Ciaicovski. Strano: lo stesso giorno io compravo il Preludio e Morte di Isotta di Wagner e glie lo feci udire. Bruno con le mani, disteso sul letto, dirigeva.
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