Benito Mussolini
Parlo con Bruno


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     Ho interrogato i contadini che avevano visto, le persone che erano accorse per prime, ma sotto la terribile impressione i loro discorsi erano confusi. Intanto la massa enorme dell'apparecchio aveva una sua tragica solennità. Sono tornato a Pisa per ricevere tua madre. Quand'è giunta presso di te, ti ha guardato a lungo, senza lacrime: ti ha delicatamente accarezzato la faccia; eri già vestito da ufficiale dell'Aria; tua madre si è chinata su di te e ha pianto a lungo, senza singhiozzi, quasi religiosamente. Si alzava e tornava a guardarti. Ti toccava le mani, gli occhi, ha guardato quali calze portavi e se la tua uniforme era in ordine. Ha toccato le tue medaglie, la tua sciabola, il tuo berretto. Tu eri sempre immobile, cereo, lontano. E pure mi pareva che tu sentissi la muta invocazione di tua madre, che qualche cosa di te vivesse, che tu non fossi lontano, ma vicino a noi, con noi, nel vincolo del nostro sangue. Poi, è giunta tua moglie, disperata, stordita che ti chiedeva una parola, una sola! Prima di esalare l'ultimo respiro, tu mi hai invocato. Hai detto: Babbo babbo il campo! Hai avuto ancora la forza suprema di parlare. Mi hai ricordato. Forse volevi dire che non avevi potuto raggiungere il campo e che perciò qualche cosa di grosso avrebbe dovuto succedere. Anche nei pochi istanti che ti restavano, la tua coscienza di pilota era sveglia. Credo che non hai sofferto. Il colpo terribile al cranio, lo stordimento, le parole, la perdita della coscienza, la fine. Tutto ciò in quattro minuti. No. Tu hai avuto il tempo di renderti conto del dramma, ma non hai avuto il tempo di soffrire. Ecco come qualcuno racconta la scena. Chi scrive è la signora Sandra Tealdi, abitante a Cesanello (Pisa) in data 14 agosto.