«È notte tarda e questa è per me l'ora più terribile; non vi è nulla che mi distragga e continuamente torno indietro e rivivo minuto per minuto la tragica mattina del 7 agosto.
«Eravamo in giardino, mio figlio Carlo ed io, quando udimmo avvicinarsi il rombo di un motore. Ad un tratto la mia cameriera che era sulla terrazza cominciò con voce disperata a gridare: «Signora, casca! casca!». Poi un tonfo sordo, poi, più niente.
«Fu un attimo per noi il trovarci sul posto non essendovi che poche centinaia di metri dal luogo dov'era accaduta la disgrazia: quella visione così spaventosa non potrò mai dimenticarla. Su un'ala un operaio facente parte dell'equipaggio sembrava impazzito e chiamava disperatamente aiuto. Abbiamo fatto quello che abbiamo potuto per portare soccorso ai feriti e con me erano Carlo, Renata e tanti altri, ma ancora non sapevo che dall'altra parte del campo era spirato il figlio del Duce.
«I feriti erano più o meno privi di conoscenza, li ho fatti trasportare sul ciglio della strada perché la benzina colava da tutte le parti e temevo un incendio. Ho tenuto il tenente Vitalini agonizzante fra le mie braccia.
«Solo allora fui avvertita che fra i morti c'era Bruno Mussolini! Non potevo crederci. Corsi immediatamente dove si era adunata della gente, e lo vidi lì — steso sul campo — e chino sopra di lui il dott. Falconcini che dopo avere prestato le sue cure dovette purtroppo constatare che ogni assistenza era vana.
«Il volto di Bruno era molto bello, ma la sua espressione dava il senso che lo spirito era già ben lontano da noi. La gente intorno era muta dal dolore.
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