«Chiederò a mio padre se posso andare in Africa Orientale; chissà se riconoscerò quei posti! Devono aver fatto molti lavori; voglio sentire cosa dicono, sentire l'umore, vedere tutto; farò molte fotografie e mio padre sarà contento delle notizie che gli porterò perché sono esatte. Intanto fai preparare un aeroplano, andremo anche a caccia. Lungo il Gasch ci sono gli elefanti».
Ottenuta l'autorizzazione paterna dopò due giorni tutto era pronto: apparecchi, fucili, munizioni. I nostri fedeli «briganti», come li chiamava Bruno, Trezzini e Boveri, motorista e marconista, con scrupolo avevano preparato motori e stazione radio in modo da non aver nessuna preoccupazione.
Il mattino del 16 marzo decollammo da Guidonia.
Benché dovessimo percorrere i 1100 km. da Roma a Tripoli avevamo caricato molta benzina perché le previsioni del tempo non erano buone. A bordo avevamo, oltre il motorista e il marconista, anche il cap. Moggi, il capo tecnico Palanca ed il segretario dott. Giorgi. Il carico era divenuto piuttosto forte il che preoccupava un po' i tecnici. Il terreno era anche bagnato da un acquazzone della notte precedente.
«Ho decollato con carichi superiori», disse Bruno a qualcuno che esagerava nella sua preoccupazione.
Difatti il decollo fu brillantissimo: un'espressione raggiante di intima soddisfazione si notava sul viso di Bruno, il quale guardandomi e mostrandomi un'impercettibile smorfia, con la bocca, mi faceva comprendere che se non lo avessero infastidito oltre per questioni riguardanti la sua capacità professionale, sarebbe stata cosa migliore e più intelligente.
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