A me toccò un posto sotto certe piante alte che davano frutti: una specie di cocco ma di dimensioni più piccole. Tali piante erano cariche di questi frutti. Stando lì fermo, in attenta osservazione, al settore a me assegnato, ogni tanto sentivo cadermi vicino dei frutti. «Faranno come le pere», pensavo, «che appena mature si staccano dall'albero».
Dopo più di un'ora ci radunammo ad un convenuto segnale. Raccontai le mie impressioni a Bruno dicendogli che il posto non mi era piaciuto perché quei frutti che si staccavano dalle piante erano tanti e alquanto pesanti che, probabilmente, prendendomi in testa avrei riportato qualche bozzo. Non mi fece finire di parlare che scoppiò in una irrefrenabile risata. «Sono le scimmie», disse a stento fra la frenetica risata; «erano le scimmie che tiravano quei frutti!!!».
— Perciò sentivo anche dei rumori strani — dissi tra il meravigliato e sorpreso.
La scena delle scimmie ci allietò tutta la sera. Ci trattenemmo per qualche ora, dopo il pranzo, per assistere alla fantasia dei negri venuti da tutte le parti; poi ritornammo al nostro alloggio perché il mattino seguente si partiva molto presto per una tal zona che sentivo decantare da Bruno come una zona meravigliosa, piena di animali vari e dove dominavano i serpenti.
Il mattino dopo, infatti, partimmo di buon'ora, accompagnati dal Governatore. Dopo circa quattro ore di macchina e dopo aver sbagliato parecchie volte la strada, arrivammo in un accampamento preparato veramente bene. C'erano alcuni funzionari del Ministero delle Colonie con a capo il comm. Liberati, esperto e vecchio cacciatore di elefanti. Nell'accampamento c'era ogni ben di Dio: ghiaccio, aranciate, limonate, bibite come si trovano solo nei bars dei grandi alberghi di lusso.
|