Il comm. Liberati ci parlò molto degli elefanti e della zona ove si trovavano in quel tempo. Molto vicino. Ci controllò i fucili, scartò quelli che secondo lui non erano adatti; provammo delle cartucce e, quando ogni particolare era stato curato, ci adunammo per il pranzo prima dell'imbrunire.
Un pranzo ottimo, molte risate, molti racconti sui serpenti e sui leopardi. Andammo a letto in tenda. Il mattino seguente molto presto eravamo già in cammino per un certo posto ove ci attendevano dei somarelli per portarci lungo il Gasch.
La marcia della colonna dei cacciatori in somarello è stata simpaticissima e ricca di aneddoti buffi. La colonna con in testa il comm. Liberati seguito da Bruno, poi da me, intanto marciava lungo il sabbioso Gasch. Dopo quasi un'ora avvistammo gli elefanti nella macchia a sinistra del fiume.
— Fermi tutti e a terra — disse Liberati.
— Procediamo lentamente a piedi — disse ancora. Noi, seguiti da un coraggioso fotografo, così facemmo. Ad un tratto un grandissimo elefante sbuca dalla folta foresta e si ferma a guardarci, quasi incuriosito. Il fotografo cerca avvicinarsi più che può e scatta due o tre fotografie. Liberati e Bruno tranquilli scrutano le mosse della bestia che dopo un po' di esitazione si avvicina ancora verso di noi con un breve trotterello. A quella mossa fuggirono tutti. Indigeni con i somarelli; i pastori che erano nei pressi cercavano di spingere via i buoi.
— Attenzione — disse Liberati — non capisco cosa vuol fare questa bestia; state pronti con i fucili.
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