Benito Mussolini
Parlo con Bruno


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     Dai suoi monti selvosi alla marina,
     Pisa era desta, il suo millennio in cuore,
     come a una gran Crociata levantina.

     T'attese: tu venivi a lui con l'ore
     prime: anche tu col Sole, dall'Oriente,
     ed il rombo del tuo quadrimotore

     rotolava improvviso sulla gente
     come il tuono di marzo a portar sole
     e primavera e sboccio di semente.

     Il Popolo era giù, senza parole:
     sapeva che era il tuo gran cuore in festa,
     chiuso e strepente in quella ferrea mole.

     E non udì quel croscio di tempesta
     che avea la foce d'Arno. Eri sì bello
     lassù, come l'Arcangelo, che desta.

     i vivi e i morti: chiuso nel tuo vello
     fulvo, vibravi gli occhi di diamante:
     dominavi lo spazio: eri sì bello!

     E il Popolo ti vide in quell'istante:
     cader ti vide: no, scendevi; forse
     giocavi con quell'ali, ch'eran tante!

     Eran venti ali; oh! le tue folli corse:
     ecco sentivi il Popolo più presso
     l'ali: venti ali! Oh! Chi te le distorse?

     E il vento, che parea sì sottomesso,
     ti travolse. Fu l'attimo di un lampo,
     e tu cadesti nel vorace amplesso

     della Morte: parevi in un bel campo
     verde, come un'eroica figura
     sopra uno scudo, nel baglior di un vampo.

     Nessun tremò: nessuno ebbe paura;
     ed ogni Madre si appressò leggera,
     e vide in te la bella creatura:

     ed ogni Madre vide in te la mera
     sembianza del suo figlio: irrigidita
     stette a guardarti più decisa e fiera

     come a centuplicare la tua vita
     terrena, dove nella carne santa
     ogni bacio era adesso una ferita.

     Diceano: «O Figlio, quale luce e quanta
     nella tua morte!» Ed ogni man ti pose
     sul petto i fior d'ogni più bella pianta.