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Tuttavia resistettero, alcune eroicamente come la «Folgore». Poi i carri nemici — anche qui l'America era comparsa con le sue formazioni corazzate — sfondarono le linee e aggirarono le posizioni tenute dalle fanterie italiane. Molti reparti si batterono con valore, il che fu riconosciuto dallo stesso nemico. Poi cominciò il movimento di ripiegamento che non poté essere effettuato dalle fanterie italiane scarsamente dotate di automezzi, molti dei quali immobilizzati dal fuoco nemico, e si ebbero grandi catture di prigionieri ai quali non fu risparmiata un'ultima tragica marcia attraverso il deserto verso le «gabbie» infami e famigerate della prigionia. La ritirata, una delle più grandi della storia, fu manovrata dalle formazioni corazzate di Rommel il quale per quanto tallonato dal nemico, e sulla terra e dal cielo, riuscì a disincagliarsi pur non sostando a nessuna delle tappe previste. I nomi cari agli Italiani di Sidi el Barrani, Sollum, Tobruk, Derna, Bengasi ricomparvero per l'ultima volta sui nostri bollettini di guerra. Una battaglia di arresto sulla linea El Agheila-Marada, porta della Tripolitania, non fu potuta imbastire per mancanza di mezzi. La ritirata continuò sino a Homs nella speranza che il deserto della Sirte rallentasse la pressione nemica, ma ciò non avvenne e la battaglia per Tripoli non fu combattuta. Oramai tutte le forze disponibili venivano inviate verso la Tunisia sulla linea del Mareth che si prestava per l'andamento del terreno a una resistenza prolungata. Molti uomini e molti mezzi raggiunsero questa linea. Durante la ritirata di oltre duemila km. i materiali perduti furono pochissimi, come si poté rilevare da un rapporto assai dettagliato mandato a Roma dal generale Giglioli che aveva la sopraintendenza logistica della Libia. |