Più tardi si venne a sapere — dalle testimonianze del nemico — che anche l'acqua non mancava: comunque erano in arrivo dei distillatori di acqua marina di media portata, di marca francese.
Come un getto di acqua gelata, cadde sull'animo degli Italiani il bollettino n. 1112, che annunciava la caduta dell'isola. Seguiva un commento di circostanza, che dopo Pantelleria, passando a Lampedusa, esaltava il piccolo eroico presidio che resisteva con eroica fermezza mentre aveva già alzato bandiera bianca.
L'ammiraglio Pavesi aveva mentito; oggi si può dire: aveva tradito.
Non furono nemmeno demoliti gli «hangars» sotterranei e fu lasciato quasi intatto il campo di aviazione.
Peccato che il plotone d'esecuzione non abbia raggiunto il primo in ordine di tempo degli ammiragli traditori, che dovevano dopo pochi mesi perfezionare il tradimento nella più vituperevole forma: consegnando l'intera flotta al nemico.
Con la caduta di Pantelleria, il sipario si alzava sul dramma della Sicilia.
Ancora prima della dichiarazione di guerra, erano state prese misure di carattere militare che rafforzavano la difesa dell'isola. Appena iniziate le ostilità, il Duce mandò in Sicilia per una ispezione il Maresciallo d'Italia Emilio De Bono, al quale era stato affidato il comando delle Armate del Sud. In data 25 giugno 1940, il Maresciallo De Bono rassegnava all'allora capo di stato maggiore dell'Esercito, Maresciallo Graziani, una dettagliata e acuta relazione contenente le principali osservazioni fatte circa la dislocazione delle truppe e la loro efficienza: la vigilanza e la protezione costiera, la difesa contraerea.
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