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Il Führer, Mussolini e seguito salirono in un treno che viaggiò per un'ora. Dopo un'altra ora di automobile ai giunse alla villa Gaggià. Parco bellissimo e fresco: edificio-labirinto che lasciò in taluni una specie di ossessione. Sembrava un "gioco di parole incrociate" pietrificato in una casa. Dopo pochi minuti di sosta, il colloquio cominciò; erano presenti il Führer, il Duce, il sottosegretario Bastianini, gli ambasciatori Von Mackensen e Alfieri, il capo di stato maggiore generale italiano Ambrosio, il Maresciallo Keitel, il generale Rintelen, il generale Warlimont, il colonnello Montezemolo e alcuni altri minori. Erano le 11 quando il Führer cominciò a parlare. Egli iniziò il suo dire con una esposizione chiara e sistematica circa le materie prime e la necessità di difendere i territori dove si trovavano. Passò quindi a parlare dell'aviazione, del suo impiego, delle sue presenti e future possibilità. Venendo alla battaglia che si sviluppava in Sicilia, assicurò l'invio di nuovi rinforzi, specie di artiglierie e anche truppe. Il Führer parlava da mezz'ora quando un funzionario entrò nella sala. Era pallido, emozionato. Chiese scusa. Si avvicinò a Mussolini e gli annunciò: «In questo momento Roma è sotto una violenta incursione aerea nemica». La notizia, che fu comunicata ad alta voce da Mussolini stesso al Führer e agli astanti, suscitò una grande penosa impressione. Durante il resto della esposizione del Führer continuarono a giungere le notizie dell'attacco su Roma. Ebbe quindi luogo un colloquio Mussolini-Hitler, nel quale il primo sottolineò la necessità di mandare altri aiuti in Italia. Tale colloquio fu continuato durante il viaggio di ritorno in auto e in treno. Mussolini accomiatandosi da Hitler gli disse: «La causa è comune, Führer!». |