Il sabato sera, 11 settembre, una strana atmosfera di incertezza e di attesa regnava al Gran Sasso. Oramai era noto che il Governo era fuggito, insieme col re, del quale veniva annunciata l'abdicazione. I capi che avevano la sorveglianza di Mussolini sembravano imbarazzati, come davanti all'obbligo di dare esecuzione a un compito particolarmente ingrato. Nella notte dall'11 al 12, verso le 2, Mussolini si alzò e scrisse una lettera al tenente, nella quale lo avvertiva che gli Inglesi non lo avrebbero mai preso vivo. Il tenente Faiola, dopo avere portato via dalla stanza del Duce tutto ciò che rimaneva di metallico e di tagliente e in particolar modo le lame dei rasoi, gli ripeté: «Fatto prigioniero a Tobruk, dove fui gravemente ferito, testimone delle crudeltà britanniche sugli Italiani, io non consegnerò mai un Italiano agli Inglesi». E tornò a piangere.
Il resto della notte trascorse tranquillamente.
Nelle prime ore del mattino del 12 una fitta nuvolaglia biancastra copriva le cime del Gran Sasso, ma fu tuttavia possibile avvertire il passaggio di alcuni velivoli. Mussolini sentiva che la giornata sarebbe stata decisiva per la sua sorte. Verso mezzogiorno il sole stracciò le nubi e tutto il cielo apparve luminoso nella chiarità settembrina.
Erano esattamente le 14, e Mussolini stava con le braccia incrociate seduto davanti alla finestra aperta, quando un aliante si posò a cento metri di distanza dall'edificio. Ne uscirono quattro o cinque uomini in kaki i quali postarono rapidamente due mitragliatrici e poi avanzarono. Dopo pochi secondi altri alianti atterrarono nelle immediate vicinanze e gli uomini ripeterono la stessa manovra. Altri uomini scesero da altri alianti. Mussolini non pensò minimamente che si trattasse di Inglesi, Per prelevarlo e condurlo a Salerno non avevano bisogno di ricorrere a così rischiosa impresa. Fu dato l'allarme. Tutti i carabinieri, gli agenti si precipitarono con le armi in pugno fuori dal portone del rifugio, schierandosi contro gli assalitori. Nel frattempo il ten. Faiola irruppe nella stanza del Duce intimandogli:
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