Dopo un grande parlare e scrivere, il Patto a Quattro si insabbiò nelle dune dei Parlamenti, fu, come si dice nel linguaggio dei burocrati, "archiviato" e come altri patti, vedi per esempio quello Kellog, passò melanconicamente nel cimitero delle ragionevoli iniziative fallite.
Mussolini stesso non ne parlò più. Ma l'evento fu grave di conseguenze. Venne di lì a poco la conferenza a Stresa. Fu detto ch'essa ebbe carattere anti-tedesco, ma non da parte dell'Italia. Questa tentava ancora una volta di aprire le porte alla collaborazione della Germania sul piano europeo, mentre si riservava, e fin da allora vi furono chiari cenni, di risolvere il suo problema africano. A proposito del quale in occasione della visita di Lavai a Roma e relativi accordi — gennaio del 1935 — era stata data "mano libera" all'Italia.
Quanto non si era voluto realizzare per via di accordi accadde nel 1936, quando il Führer ordinò ed effettuò la rioccupazione militare della Renania. L'emozione fu grandissima. Si ebbe l'impressione che Giano stesse per riaprire le porte del suo tempio. Ma la Francia — che era nel periodo culminante di una crisi politico-morale — e l'Inghilterra non ancora pronta incassarono. Pochi mesi dopo, l'Austria cessava di esistere come tale e diventava una Marca del grande Reich. Altra più potente emozione, ma le Potenze occidentali non fiatarono. Scrittori politici inglesi e anche qualche francese ligio al principio di nazionalità ammisero che essendo l'Austria un paese fondamentalmente tedesco non le si poteva negare il diritto di congiungersi con un popolo della stessa razza, della stessa lingua e che aveva avuto per secoli un comune destino. L'incalzante dinamismo della politica estera nazionalsocialista doveva indurre le Potenze occidentali a riconoscere la nuova situazione e a trarne le logiche conseguenze.
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