Non è qui il caso di ricordare giorno per giorno le cronache diplomatiche dei primi otto mesi del 1939. Basterà sottolineare l'apparizione della Russia all'orizzonte. Per alcuni mesi Londra stette in ginocchio davanti al Cremlino, come Enrico IV nel Castello di Canossa all'ultimo minuto, Stalin si accordò con Ribbentrop, talché la prima fase della guerra fu condotta in comune o quasi sul territorio della Polonia e, quindi, praticamente, dalla Russia anche contro l'Inghilterra, la quale non poté far altro che assistere impotente all'ennesima spartizione della Polonia inutilmente protetta — allora e poi — sino a oggi autunno 1944.
Nel mese di agosto le cose precipitarono. Si marciava a grande andatura verso la guerra. Nell'ultima decade di agosto l'Italia fece uno sforzo che può dirsi disparato per tentare di evitare la catastrofe. In libri e discorsi fu riconosciuto da tutti, anche dagli attuali nemici. Mussolini non voleva la guerra. Non poteva volere la guerra. Egli la vedeva avvicinarsi con una angoscia tremenda. Sentiva ch'essa era un punto interrogativo su tutto il futuro della Patria. Tre imprese militari avevano avuto una conclusione felice: la guerra di Etiopia nel 1936; la partecipazione alla guerra civile di Spagna 1937-1939; l'unione dell'Albania all'Italia nel 1939. Mussolini pensava che era ora necessaria una pausa, per sviluppare e perfezionare l'opera. Dal punto di vista delle perdite umane, le cifre erano modeste, ma lo sforzo finanziario e logistico era stato enorme. Né bisognava dimenticare la tensione nervosa, in un popolo che salvo brevi intervalli è in guerra dal 1911! Era gran tempo — dunque — di distendere questi nervi, era gran tempo di applicare le energie della nazione alle opere della pace.
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