Ricevendo i fascisti della "Decima Legio" di Bologna, già nel settembre Mussolini previde che la guerra si sarebbe dilatata ai continenti e che avrebbe preso a poco a poco il carattere di una guerra di religione di un urto di civiltà.
Le vicende della guerra sino all'armistizio sono incise nella carne degli Italiani, ma la resa a discrezione del settembre 1943 è stata la più grande catastrofe materiale e morale nei trenta secoli della nostra storia. Da quell'infausto mese, le sofferenze del popolo italiano sono indicibili, e superano l'umano per entrare nell'irreale. Mai un popolo sali un più doloroso calvario!
Tutta l'Italia per successive tappe è diventata un campo di battaglia. La tragica verità è questa: l'Italia è in gran parte distrutta. Prima sono state le città a subire le ancora perduranti selvagge feroci incursioni dei "liberatori anglosassoni", poi è stato il turno delle borgate, dei villaggi, dei casolari. Dopo gli agglomerati urbani ridotti a macerie, è la distruzione della terra nella sua espressione vegetativa. Dove passano migliaia di mezzi corazzati non resta nulla. Milioni di alberi sono stati sradicati dai cingoli o abbattuti nei lavori di fortificazione. Zone dove secoli di mezzadria avevano fatto del podere una specie di capolavoro dell'agricoltura sono oggi deserte come le steppe della Marmarica. Non c'è più un uomo, non un animale, non un albero, non c'è più espressione di vita.
Più volte nella sua fortunosa e tormentata e pur gloriosa storia l'Italia fu percorsa da invasori, ma erano — meno gli Arabi — tutti di razze europee. Oggi quello che non per consuetudine retorica deve chiamarsi il "sacro suolo della Patria" è percorso da tutte le razze del mondo. Al sud dell'Appennino ci sono Statunitensi, Brasiliani, Inglesi, Neozelandesi, Canadesi, Australiani, Sudafricani, Marocchini, Algerini, Francesi, Greci, Polacchi, negri non meglio specificati.
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