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Arnaldo ed io, dormivamo allora nella stessa stanza, nello stesso grande letto in ferro, costruito da mio padre, senza materasso e col saccone di foglie di granturco. Il nostro appartamento si componeva di due stanze al secondo piano di Palazzo Varano e per entrarvi bisognava passare dalla terza stanza che era la scuola. La nostra stanza serviva anche da cucina. Al lato del nostro letto c'era un armadio di legno rossiccio che conteneva i nostri vestiti; di fronte c'era una scansia ad arco, piena di vecchi libri e di vecchi giornali. Arnaldo ed io li sfogliavamo: fu lì che leggemmo le prime poesie; i primi fogli illustrati, come L'Epoca, che allora usciva a Genova e fu tra quelle caselle che un giorno io feci una scoperta che mi riempì di curiosità, di stupore e di emozione: trovai le lettere di amore che mio padre aveva scritto a mia madre. Ne lessi qualcuna. Di fronte al letto c'era la finestra. Di lì vedevamo il Rabbi, le colline e la luna che spuntava dietro Fiordinano. All'altro lato del nostro letto c'era la madia per il pane e poco discosto il focolare, quasi sempre spento. Nell'altra stanza dormivano mio padre, mia madre, l'Edvige. Il mobilio consisteva in un cassettone e in un grande armadio di legno bianco, in vetta al quale facevano mostra di sé nove rotoli di tela per biancheria, dei quali mia madre era particolarmente orgogliosa e gelosa. In mezzo, una tavola sulla quale io studiavo. È a questa tavola che un po' più tardi io ho fatto le mie prime letture generiche che andavano dalla Morale dei positivisti, di Roberto Ardigò allora in voga, alla Storia della filosofia di Fiorentino; dai Miserabili di Victor Hugo alle Poesie del Manzoni. |