Un uomo che portava questi pensieri considerava il giornalismo non più come una professione, ma come una missione. Nulla gli sfuggiva pure nel rapidissimo corso della giornata. Tutto veniva sottolineato, dall'articolo di fondo, come nel giornale del 16 luglio del 1927 in cui venivano illustrati tre avvenimenti e cioè il primo responso della Magistratura del Lavoro, l'inaugurazione della Nuova Banca del Lavoro, la seduta dell'Istituto Nazionale delle Esportazioni. Il commento era di chiarificazione e di impulso. Ecco come Arnaldo salutava una serie di accordi sindacali nell'agricoltura:
«Giosuè Carducci, nelle sue invocazioni fervide di amore patrio, soffuse di inquietudine per il divario profondo traila realtà del giorno e il suo sogno di grande artiere, ebbe ad invocare come condizione suprema ed essenziale di vita la pacificazione delle campagne e la tranquilla opera dei rurali. Ciò che ieri sembrava una impossibile aspirazione di Poeta, è realtà, oggi, realtà viva e palpitante, anche se gli Italiani, facilmente ingrati e dimentichi, sembrano adagiarsi nella quiete del tempo».
Anche nel 1927 i migliori articoli scritti da Arnaldo furono quelli nei quali trattò dei rapporti fra Chiesa e Stato. Era un problema questo ch'egli considerava fondamentale. Nel 1928 l'attività giornalistica si allarga e tutta una serie di scritti pongono i problemi e l'essenza del Fascismo dinanzi al mondo. A proposito di certe «bravate» austriache, nel Popolo d'Italia egli ammoniva:
«L'Italia è stata in ogni tempo ed in ogni contingenza, generosa. Non lo ripete oggi per un motivo di opportunità sentimentale: lo afferma come dato di fatto indiscutibile, per fare intendere agli eredi della vecchia Austria che il passato non si cancella, che indietro non si torna, che la linea politica di una grande Potenza non può venire turbata da certe discussioni che intorbidano invece di chiarire il pacifico vicinato di due popoli. L'Alto Adige è l'Italia, il Brennero è inviolabile».
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