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Arnaldo è stato durante dodici anni il mio più prezioso collaboratore. Dapprima nell'Amministrazione del giornale, poi nella direzione. Collaboratore nel senso più esteso della parola. Assiduo, intelligente, riservato. Collaboratore nei grandi e nei piccoli problemi. Egli portava ogni giorno la sua pietra al mio edificio. Ci incontravamo di frequente a Roma, a Milano, in Romagna. Ogni volta era un esame della situazione nei suoi aspetti generali o nei dettagli. Egli mi portava notizie, mi riferiva colloqui, mi consegnava dei plichi di lettere, di suppliche, di memoriali, mi segnalava degli stati d'animo formati o in formazione. I nostri apprezzamenti qualche volta — ben di rado però — non coincidevano totalmente, ma quasi sempre nel seguito, dovevo constatare ch'egli aveva ragione. A lui faceva capo una infinità di gente. Spesso, egli mi liberava dal peso di pratiche che poteva sbrigare da solo. Aveva uno straordinario rispetto del mio lavoro e cercava di evitarmi ogni noia ed ogni afflizione. Dire ch'egli ha collaborato con me, come un fratello e come un gregario non basta: ne voglio dare le prove: voglio cioè dimostrare quale sia stata l'attività svolta da Arnaldo, nel determinare la politica del Regime. E lo farò, riproducendo dalle centinaia di lettere che ci siamo scambiati dal 1922 al 1931, i brani più significativi e interessanti. Nei «fascicoli» — grigia e triste parola burocratica! — non ho trovato elementi degli anni 1922 — ultimi mesi dell'anno dopo la Marcia su Roma — né del 1923. Molte carte vanno fatalmente perdute o distrutte, anche negli uffici più rigorosamente ordinati. |