Dopo il grave incidente automobilistico del 28 maggio 1928, che lo costrinse a molte settimane di letto e di riposo, il 24 luglio mi scrive per accludermi il testo dell'epigrafe dettata per Mario Gioda. Successivamente il 1° settembre 1928, Arnaldo mi trasmetteva copia di una lettera da lui inviata al Segretario del Partito, lettera che voglio rendere tutta di pubblica ragione e per la sua importanza intrinseca e sempre attuale e quale sintesi di quelle che aerano le idee, le direttive, le consapevolezze di Arnaldo. Dal punto di vista dello stile e dell'educazione fascista è documento non meno memorabile del testamento spirituale, scritto soltanto poche settimane dopo:
«La mia breve polemica che si era iniziata sulle virtù e le necessità del giornalismo da parte di colleghi romani, e il mio punto di vista espresso sul Popolo d'Italia in alcuni articoli che io reputo non indegni, si è rapidamente chiusa. Ho sul tavolo fascicoli interi di adesioni. Molti sono coloro che affermano che ho visto giusto, poche sono le riserve e le critiche: alcune lettere anonime di nessuna importanza. Credo che il mio punto di vista sia aderente al tuo o almeno si avvicini di più a quello che tu pensi in fatto di giornalismo, di disciplina e di gerarchie minori del Fascismo.
«Tuttavia, per essere sincero fino in fondo e per vedere di dare un contenuto pratico alle polemiche, desidero scriverti quella seconda parte che per ragioni evidenti non ho potuto pubblicare sul giornale. Si tratta di alcuni punti fermi, necessari dopo un periodo difficile ed agitato come è stato quest'ultimo periodo della vita nazionale. Giacché tutti noi siamo elementi di una discreta cultura e di coscienza sicura, tiriamo le somme non tanto per la nostra soddisfazione, quanto per il desiderio di trarre degli insegnamenti per quel che è stata l'opera di ieri, per l'avvenire che non sarà meno facile e meno complesso del passato.
|