Sempre ansioso delle sorti della grande città che lo ospitava da tanti anni, il 18 luglio del '29 mi scriveva:
«Facendo seguito alla mia telefonata di ieri, non ti nascondo il senso di stupore e di sorpresa che ha determinato nella cerchia degli ambienti che conoscono la vita milanese, la notizia che De Capitani dovrebbe lasciare il Comune. La incompatibilità esiste realmente, ma De Capitani è uomo che può superarla. Questo concetto ha informato la tua decisione di dieci mesi fa. Un cambiamento in questo momento nella podesteria di Milano, non avrebbe ripercussioni favorevoli nella cittadinanza che vede in De Capitani l'uomo probo che vigila, con uno scrupolo e uno zelo persino eccessivo, su tutte le vicende finanziarie, patrimoniali, morali ed economiche del Comune. L'on. De Capitani ha già raggiunto il pareggio; non ha rallentato per niente i lavori in corso; i servizi pubblici sono perfetti. Bisogna fargli credito almeno di un anno ancora, perché egli possa chiudere in attivo l'opera da lui svolta e dar conto di ciò che è stato fatto in collaborazione con il Vice-Podestà, con la Consulta, con il Fascismo».
L'idea dell'umanità che affluiva in Via Lovanio, è data da questa lettera del 3 maggio 1930:
«Ricevo un'infinità di gente che mi chiede favori, sussidi, raccomandazioni. Altri richiedono udienze da te, altri ancora hanno progetti, invenzioni, pubblicazioni da sottoporti. Regolo con molta abilità questa massa di insoddisfatti e procuro di non aggiungere noie alle molte che avrai già».
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