Rivedo, mentre ti scrivo, il tuo sguardo dolce, sereno, un po' triste. Avevi vissuta a sette anni la tragedia di Caporetto: forse la visione tragica di quel lontano periodo non si è spenta mai nella tua mente. Per questo, forse, e perché avevi conosciuto presto il dolore e il sacrificio, sapevi essere buono e sereno. Amavi la verità; la esprimevi, spontaneamente, per sintesi.
In venti anni non ho mai avuto occasione di riprenderti. Tu solo sapevi orientarti: mai una parola impropria ho sentito dalla tua voce. Il nostro esempio ti aveva insegnato la probità. Eri ospitale con i tuoi compagni, affettuoso con tutti, sempre pronto a comprendere e a valutare in silenzio. Rammento quei pomeriggi chiari, vibranti, quando nella nostra dimora si raccoglievano i tuoi amici, per conversare, giocare, suonare. Amavi la musica: sento ancora le note di Beethoven evocate dalla tua mano su la tastiera. Con la musica, ti era cara la Storia: in queste predilezioni si rivelava, nel tuo carattere completo e complesso, la tendenza alle sublimi e grandi cose. Nello studio come nell'arte, nell'amore al volo come nei sogni dello spirito, tenevi sempre gli occhi fissi in alto: portavi con te il segno di una nobiltà di vita, di giudizio e d'aspirazione che destavano subito meraviglia in chi ti avvicinava. I giudizi di chi ti ha conosciuto basterebbero per fare di te un quadro perfetto.
Nella tragedia che ci ha colpiti senza speranza di pacata rassegnazione, si rivela qualcosa d'imponderabile. Il Destino ha operato misteriosamente. La tua malattia e la tua morte sono state accompagnate da un complesso di vicende che danno alla sventura un carattere non comune. Tu sei passato nella vita terrena come un Santo; appartenevi al numero dei predestinati, a coloro che danno vibrazioni alla vita e motivo alle speranze. Né certo io vorrò lasciar disperdere questo grande patrimonio di vita e di morte, d'insegnamenti e di riflessioni: ecco la ragione di questo libro.
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