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Ad un tratto, mi avvidi che cercavi qualche cosa. Non potevi esprimerti; era impossibile comprenderti. Seguivo ogni tuo movimento; anche impercettibile; indovinai che avevi sete, che avevi bisogno di calmare l'arsura del respiro affannoso. Il polso prese un'andatura violenta. L'occhio era bello e luminoso. Il prof. Ferrata misurava i battiti del tuo cuore. Egli era vicino a me: comprendeva la mia disperazione impotente e cercava con uno sguardo, con una parola, di darmi coraggio. Egli pure soffriva la sua tragedia, per l'impossibilità in cui si trovava la scienza di salvare la tua esistenza. Venti minuti prima che tu spirassi, per prepararmi alla fine, mi susurrò: «Ha perduto il cuore. Ora vive una vita riflessa». Dissi forte: «Aprite le finestre. Ch'egli veda ancora il sole». Tu comprendesti la mia invocazione. Il tramonto luminoso colpiva per l'ultima volta la tua immaginazione. Con lo sguardo mi ringraziasti. |