La notte, prima di prendere sonno, e i primi albori del mattino sono sempre stati, e sono ancora, i più dolorosi. Persino attraverso l'incoscienza del sonno, sento l'ansito grave di questo dolore, sento la punta che incide il mio spirito; nel mistero, nel silenzio del sonno, non giungo mai a dimenticare del tutto che qualche cosa è stato travolto nella mia vita, che ciò che mi era più caro mi è stato tolto e strappato e che la mia disperata invocazione non serve a ridarmi il mio dolce Figlio adorato. Poi, al primo risveglio, ecco riapparire subito, inesorabili, i confini nitidi e gravi della mia tragedia.
Per un dolore tanto forte si superano i limiti angusti della nostra vita sensibile, si vincono le miserevoli vanità, il fatuo orgoglio della nostra esistenza quotidiana, si raffina e si eleva la nostra sensibilità. E chi abbia un carattere, una intelligenza, uno spirito alto, deve aspettare le forze vitali, non dal tempo, né dal lavoro metodico, ma dalle convinzioni religiose e filosofiche. Le letture non mi hanno dato conforto, ma forza per vincere e resistere. Ho letto, nel Fedone platonico, la morte di Socrate; ho letto l'Imitazione di Cristo. Un libro di poesia, di un altro padre dolente, è venuto incontro al mio spirito: era il Fabbro armonioso di Angiolo Silvio Novaro. Tutto, Sandro mio, tutto ho tentato, per non farti soffrire per questo mio infinito dolore. Volevo recarmi da coloro che hanno sentito le grandi inquietudini spirituali, per attendere da loro la parola del conforto e della rassegnazione. Ho cercato tutte le strade e ti ho invocato in ogni ora del mio soffrire. Ho provato a lavorare, ma non mi è bastato: la fatica lenta può assorbire per brevi momenti, ma non consola.
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