Arnaldo Mussolini
Vita di Sandro


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     Ma un'altra diversa fonte di vita tu mi serbavi: ogni giorno una notizia, una parola, un ricordo, venivano a illuminare maggiormente la tua bontà e non facevano che acuire la passione per te, mio Figlio perduto. Tu mi apparivi sempre migliore, sempre più alto e puro: la perfezione si delineava in te nei contorni di un essere completo. Posso affermare, con assoluta convinzione, che tu sei morto perché eri perfetto. Questa è stata la voce unanime, ricorrente, di tutti coloro che ti hanno conosciuto. Nel mio dolore, quindi, non parla solamente l'egoismo paterno, non si afferma soltanto la ribellione per averti visto morire a vent'anni; ma è implicito il rammarico profondo della certezza perduta, della grandezza non raggiunta, della gioia non vista e del successo non conquistato.
     Ricordo che un giorno, salendo a San Giusto, vidi davanti a me, alto e solido, un muraglione, a guisa di fascio, intorno al sacro Colle. E, dentro me, pensavo: «Ecco un ostacolo che non si scavalca e non si abbatte». Perché ora mi è venuto in mente questo episodio? Quale relazione vi può essere tra il muro e lo spirito? Eppure, pensando alla tua morte, nell'angoscia del momento, alzavo istintivamente gli occhi e vedevo il muro altissimo. È una tragedia questa che non si vince e non si abbatte.
     Bisogna ripiegare su se stessi, in silenzio, e trovare nelle ragioni imperscrutabili del destino i segni di questa mia condanna.
     Questi, Sandrino, sono i primi mesi del dolore. Il tempo non potrà mai trasformare un simile stato d'animo. Ho ripresa la vita con molta lentezza. Tutto ciò che avviene intorno a me è al di là di una cortina fredda di cristallo. Né le inquietudini che tormentano gli altri possono seriamente travagliare il mio spirito. Ormai ho provato il massimo dolore, ormai ho subito l'ingiustizia più grave. Sono giunto a un limite che non si può superare.