Vi sono delle punte acute di dolore che si possono misurare in tutta la loro ampiezza, solo se veramente sono state sentite e sofferte. Io pensavo: «Iddio benedica tutti quei giovani, nel loro presente e nel loro avvenire, ma anche al mio Sandrino sia riserbata almeno la sorte dei buoni e dei giusti».
Sono ritornato più tardi a Milano. La mia professione, il complesso dei miei doveri, mi richiamavano al mio posto di combattimento. Sentivo io stesso il tuo consiglio. Fu un ritorno doloroso, che non fu attenuato neppure dall'assistenza affettuosa, piena di delicatezza, di riguardi e di ossequio, che tutti gli amici responsabili della grande città mi testimoniarono, sia al mio arrivo come nei giorni della mia permanenza. Le autorità e gli amici più cari, i compagni di mille battaglie, i testimoni della mia vita di lavoro, di fatica e di sacrifici, furono tutti presenti, in una gara fraterna che non saprò mai dimenticare.
Ma il sacrificio di entrare in quella dimora priva di te era troppo, troppo aspro! Tu lo sai, Sandro, che cosa sono stati per me quei giorni. Rivedere la tua casa, la tua stanza, i tuoi libri, le tue carte, la tua scrivania in ordine, era per me un tormento senza nome. Una volta, aprendo un mobile, trovai alcune medicine che ti erano servite negli ultimi giorni della tua presenza a Milano; ebbi un fremito d'angoscia: tutto un affollarsi di memorie e di ricordi che mi torturarono lo spirito e l'anima. Il pianoforte era chiuso: sul leggio si trovava ancora, abbandonato, il tuo libro di Beethoven. Sentivo e sento che quella casa non si riempirà mai più né di bellezze né di armonie. E l'immagine grigia del tempo distenderà un velo di tristezza sulla nostra vita di ogni giorno.
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