Storia fiorentina (volume II) di Benedetto Varchi

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      LIBRO QUATTORDICESIMO 273
      da sè stesso, o per mezzo di Giovanni Bandini potesse aver da lui. lume delle pratiche, le quali i nemici suoi gli facevano conlra ; e ritornando poi il priore di Spagna dalla sua ambasceria , passò per Ferrara , e ragionando con Giovambatista Busini di quel che gli era avvenuto in Firenze disse: Al corpo di santa gallina (che cosi usava giurare), se io non era accorto, Giovan Bandini mi faceva mal capitare.
      Giunsero adunque questi ambasciadori in Barzalona a i quindici giorni di maggio dell'anno 1555 , ed ebbero lutti audienza, ma in diversi tempi ; perciocché quegli che eran mandati da i cardinali e da Filippo Strozzi, furono uditi dall' imperadore a' diciotto giorni di maggio , e poco di poi ebbero udienza gli ambasciadori de' fuorusciti, e benissimo fu conosciuta da sua maestà e dagli agenti suoi la cagione di queste due ambascerie , e della diversità di quelle ; onde Covos uno de' ministri primi suoi, disse in lingua spagnuola : esto es un concierto; nondimeno Cesare gli udi benignamente, e si mostrò assai desideroso del riposo , del bene e della libertà della città, e massimamente perchè il principe d' Oria favoriva allora assai le cose de' fuorusciti, perciocché essi si vestivano del mantello della libertà , della quale egli era stato sempre ed era ancora più che mai amatore, siccome si vide manifestamente quando l'anno 1528 essendo in poter suo, per Io accordo fatto collo'mperadore, lo insignorirsi di Genova, egli nollo volle fare, anzi la lasciò libera nelle mani de' suoi cittadini, i quali vi ordinarono quella, forma di repubblica, che ancora oggi vi dura , la quale egli sempre, menlrechè visse, s'ingegnò a suo potere non solamente di mantenere, ma di migliorare ancora. Quésti offeriva a Cesare che se egli rendeva la libertà alla ciltà di Firenze, che adopererebbe di maniera, che tra Firenze, Genova, Siena e Lucca si farebbe una lega a devozione dell'imperadore , e a difesa comune degli slati loro, delia quale esso sarebbe capitano, il che sarebbe una sicurtà grande delle cose d'Italia per sua maestà senza sua spesa. Ma per esser deliberalo allora Cesare di farw l'impresa di Tunisi, rispose a tutti gli ambasciadori per un suo rescritto in lingua spagnuola in questa maniera, il qual rescritto recalo in volgare fiorentino vuol dir cosi (I) :
      « Che sua maestà coli'animo, che ha con effetto mostro alla comun pace della Cristianità, segnalatamente sempre desiderando la pace e tranquillità d'Italia , e maggiormente desiderando di ridurre la repubblica fiorentina in buona unione , e che fusse retta con buon governo e
      (1) Nel suo originale fu dall' Arbib pubblicato nelle Storie di Iacopo Nardi, V. Il, p. 254.
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Storia fiorentina (volume II)
di Benedetto Varchi
Borroni e Scotti Milano
1846 pagine 476

   

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