La storia della antica Liguria di Girolamo Serra
• 216 LIBRO SESTOla plebe di Genova, usa a romore, usa a disporre e ragionare delle cose di stato, non si acchetò, proseguiva anzi a gridare « che i prestiti al dura non essendo a utilità della Repubblica, non dovevano essere a suo carico; che l'oro e il sangue de' Genovesi mal si versavano in paesi stranieri per straniere cagioni; che i nobili e i ricchi popolani traevano da questo ampie mercedi, dignità eminenti, interessi perpetui. Or che restava ai plebei? ètiche, tributi, disprezzi. Non per altro essersi mutato tante volte governo. E perchè dunque conservare il presente, di tutti peggiore, e perchè non sostituirgliene un altro qualunque si fosse, certo migliore, che quando più non piacesse, si muterebbe di nuovo?»
Non essendo tali voci represse, la plebe si adir nò da sè sola nella piazza maggiore. Erano i pareri diversi, nè si concludea cos'alcuna, quando un giovinetto d'infimo stato, salito sopra un pilastro, gridò: non più parole, armi alla mano, i ricchi la vinceranno sempre a parole. E agitata in mano una pietra, fe'cenno d armarsi secondo le facoltà di ciascuno. Così senza risolvere altro, l'adunanza si separò; la plebe corse all'armi, ma non commise eccessi. I facoltosi non si mossero. Lodovico rammaricandosi indarno di essere abbandonato*, andò a rinserrarsi nel Castelletto. Due giorni trascorsero senza governo e senza disordini. Parve allora ai Savi della città, che la voce della ragione ripiglierebbe il suo naturale potere; onde entrarono in discorso coi più minuti artefici e bottegai, spiegando come i tumulti impoveriscono più di qualunque dazio chi vive alla gior-
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