Storia della Grande Guerra d'Italia di Isidoro Reggio

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      LA GRANDE GUERRA D'ITALIA
      «Gorizia era raggiunta: l'avevamo ammirata e desiderata dalle trincee del martirio, dagli osservatori che si protendevano coi loro occhi, ma non potevano conquistarla. Ci volevano i mezzi : e i mezzi sono venuti, dalle officine, dalle caserme d'Italia.
      « Dietro i fantaccini sono passati i carabinieri, dai ponti e a guado, poi la cavalleria, questa volta non soltanto per compiere ardite esplorazioni; ma per avventarsi sulle retroguardie, sui pezzi appostati nella piana, per inseguire, incalzare, sciabolare... Sono passati i bersaglieri ciclisti con le esili e veloci macchine...
      « Le artiglierie austriache creavano cortine di fuoco ali imbocco dei ponti, miravano a distruggerli; l'aria si oscurava e i guizzi e le vampe si sovrapponevano, disegnando trame mortali rossastre sul fondo bruno della terra e plumbeo della corrente. I soldati italiani non temevano quella mobile sbarra, l'attraversavano giocondi, invulnerabili, s'immergevano nel canovaccio fluttuante dei fumi, lo superavano gridando :
      «— Gorizia è nostra! Gorizia è italiana! Avanti! Avanti! »
      A Vienna il colpo riuscì completamente inatteso. La caduta della testa di ponte di Gorizia non diede a Vienna l'impressione che anche Gorizia stesse per cadere nelle mani delle truppe di Cadorna. L'ottimismo del Neues Wiener Tagblatt arrivò fino a mettere in dubbio la possibilità di un proseguimento dell'attacco italiano sulla sponda occidentale dell'Isonzo. La Neue jreie Presse si diceva senz'altro convinta del vittorioso risultato della battaglia :
      « 11 sacro suolo di Gorizia difeso dal valore dei nostri soldati — scriveva — anche in avvenire sarà calpestato soltanto da italiani prigionieri e la nostra convinzione che questo nemico non avanzerà 'e che tutti gli assalti in massa si infrangeranno come fin qui contro la muraglia vivente dei difensori è ben fondata e saldissima,
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Storia della Grande Guerra d'Italia
Volume 21. Le battaglie dell'Isonzo
di Isidoro Reggio
Istituto Editoriale Italiano
pagine 212

   

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