Umberto Adamoli
I BANDITI DEL MARTESE
(Romanzo storico)


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     "Bell'avventura la nostra", disse Barbara alle amiche, una volta sole. "Chi sa in quali pene vivono le nostre povere mamme. Volemmo prendere le armi, come le donne di Civitella, per difendere le nostre case e siamo alla mercé dei banditi."
     "Sono però banditi simpatici" rispose una delle due amiche.
     "Quel Santuccio" soggiunse l'altra "come lo chiamano, è d'aspetto civile, nobile."
     "Ma sempre bandito" ripeté Barbara. "Anzi, a quanto ho capito, capo dei banditi. Vedremo come manterrà la parola."
     "Appunto delle donne di Civitella, che cosa fecero?" Domandò ancora un'amica.
     "E' un po' lunga la storia."
     "Non importa. Raccontatecela. Tanto nessuno pensa a dormire questa notte."
     "Va bene. Ve la racconterò, ma brevemente. Servirà ad alleviare il nostro fastidio.

     Dovete sapere come il papa Paolo IV, figlio di Vittoria Camponeschi, contessa di Montorio - come la bisnonna, che viveva in quel tempo, mi narrò - volesse cacciare dal regno gli spagnuoli, con l'aiuto dei francesi, che invitò a discendere in Italia. Superate le Alpi, per la via della Romagna e delle Marche, l'armata liberatrice, come la chiamavano, giunse alla nostra frontiera. Rafforzata con le truppe pontificie, su consiglio del cardinale Carafa, penetrò nel nostro territorio e marciò su Campli. Dopo una dura lotta, e anche i nostri si difesero bene, fu conquistata e sottoposta a un feroce saccheggio. S'uccisero gli uomini, non furono risparmiate le donne, nella vita e nell'onore. La bisnonna, adolescente appena, si salvò in un convento.


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Umberto