Umberto Adamoli
I BANDITI DEL MARTESE
(Romanzo storico)


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     "Tu qui, Cinzia? Quanto ho desiderato questa tua visita. Grande lotta, senza dubbio, si sarà combattuta in te, prima di venire a offrirmi questo dono di tanto valore. Non è vero?"
     "E' vero. Io mi lusingo ancora che tu non sia di quella gente che vive di sangue. Dimmi, Giulio, che tu non sei bandito".
     "Siamo nati, buona Cinzia, in una delle età più disgraziate: età in cui gli stranieri, forti del nostro disfacimento, torturano la nostra patria. Credi tu che se un qualche italiano, della tempra di un antico romano, ripetesse il grido: - Fuori i barbari! - credi tu che i banditi del Martese rimarrebbero inoperosi?
     Talvolta sento che vi è in me qualche cosa i non comune e che il mio nome non scenderà, per l'eterno oblio, nella tomba."
     "Perché bandito?

     Non so. Tempo fa, mosso da curiosità, volli sentire il mago di Nepezzano, che tanto fa parlare di sé. Mago che vive fuori dell'abitato, in una spelonca, in compagnia di gufi, serpi e spiriti infernali. Prese poi un grosso sudicio libro, l'aprì, vi lesse. Successivamente mi prese una mano, mi guardò negli occhi, mi parlò come se in quel libro leggesse nel mio passato, nel mio presente, nel mio avvenire.
     - Fa attenzione -, mi disse in forma enigmatica. - Veggo salire il sole, dopo l'incerto chiarore dell'alba, tra i colori dell'aurora. Sale il sole in un cielo sereno, in un cammino tranquillo. Nubi sorgono più tardi ad attenuare lo splendore. Più tardi altre nubi sorgono, cariche di tempesta. Scoppiano le folgori, rumoreggia il tuono, cade la grandine. Torna dopo la tempesta il sereno.


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Umberto