Umberto Adamoli
I BANDITI DEL MARTESE
(Romanzo storico)


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     Veggo ancora una città, che sorge dal mare. E veggo lontano altre contrade, altri monti, sui quali si scatena, come un uragano, l'ira di Dio, l'ira degli uomini. Alti lamenti nei boschi, rivoli di sangue nei valloncelli, in cui si dissetano i corvi, si bagnano i serpi.
     Veggo ancora una colonna di marmo su uno di quei monti, con un leone rampante in alto, con molti nomi in essa scolpiti, un nome in mezzo, a lettere grandi, illuminato da una luce che mai si spegne.
     Tante altre cose veggo, ma come in una nebbia. Per oggi non posso dire altro. -
     M'allontanai da quel luogo, che aveva in sé un non so che di tetro, molto turbato.
     Cosa volle dire il mago di Nepezzano con il suo parlare oscuro? Virò? Sarò eroe, sarò felice, sarò infelice? Mistero.
     Parlami ora tu, Cinzia, illumina con la tua luce la mia anima turbata, la mia vita oscura."

     "Che posso dire? Strane, certo, le parole del mago. Ma per intanto veggo i banditi con foschi colori, ma risuona pure nel mio animo la dolce parola che uno di essi vi fece giungere, in una notte di poesia. In ciò appunto la lotta. Ma io sono venuta qui, ed è bene dirlo, unicamente per rendere omaggio alla tua valorosa condotta. La gratitudine, nella umana sensibilità, non è ancora spenta, e viva è per te, per la notte dei pirati, la mia gratitudine. Il resto è nelle mani di Dio."
     "Posso quindi sperare?"
     Cinzia non rispose. Altre visite interruppero quella conversazione. Poco dopo ella lasciata quella casa, andò a inginocchiarsi dinanzi alla Madonna, nella vicina chiesa, da dove uscì rinfrancata, quasi serena.


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Umberto