Per non rotolar giù si adagiò sul tronco inclinato di un albero. Non sudava più, la sua pelle era arida. Si slacciò sul petto ed ebbe paura del colore della sua carne. Era cerea, esangue. Il riposo non sedava l'affanno del suo respiro. Pensò di dover morire. La cosa misteriosa di cui pareva inseguito, lo aveva forse raggiunto. Il sole tramontò, la quiete marea dell'ombra salì dal fondo della valle, dove era già notte.
Dopo un lungo riposo, per profittare del crepuscolo egli si rimise in cammino, lentamente, appoggiandosi ad un bastone, un ramo che aveva raccolto. Lo spronava soprattutto la speranza di trovare acqua nell'altra valle. Era la valle del Bistrica. Di tutte le sofferenze la sete era la più forte. Egli discese il versante opposto lasciandosi scivolare, seguiva i pendii con inerzia. La notte era scura e fredda, passavano raffiche di bufera, il cielo si era coperto. In fondo alla valle mormorava l'acqua. Il Bistrica porta il gelido e chiaro sgorgo dei nevai del Tricorno.
Nel torrente il giovane tuffò la faccia riarsa e bevve avidamente. Stornivano sui cespugli le prime gocce pesanti di un temporale. Dopo pochi minuti la pioggia scrosciava impetuosa. L'acqua tanto sospirata precipitava a cateratte ora, scorreva per tutto. Le nubi erano squarciate dal fulgore dei lampi che illuminava la valle. Il fuggitivo si ricoverò sotto alla sporgenza di un macigno. L'acqua lo raggiunse, ruscellava sulla roccia, arrivava sferzante spinta dal vento. Bagnato, intirizzito, egli batteva i denti, ma sentiva il ristoro dell'immobilità.
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