1.1.2 La costruzione del partito nuovo: il ruolo della pubblicistica culturale
In merito alla pubblicistica comunista di area culturale è necessario fare alcune riflessioni ulteriori: il tema si estende al progetto di rinnovamento culturale che il Partito Comunista Italiano si propose nel secondo dopoguerra, operando per un recupero delle radici nazionali (in cui la filosofia marxista si sarebbe integrata) e per lo sviluppo di una cultura nazional-popolare moderna; in questa prospettiva gli intellettuali e gli artisti furono spinti a ripensare le tradizioni del paese dal punto di vista del movimento operaio, parlando al e del popolo, raccontando e celebrando le sue battaglie concrete, rendendo l’uomo protagonista. (43) La cultura doveva trovare il suo fondamento nella società, riempirsi di un contenuto “di classe” e rendersi intellegibile dal popolo, comprensibile, strumentale alla sua crescita culturale. In sintesi: pedagogica.
Bisogna considerare con molta attenzione il ruolo del “fronte delle idee” in questo contesto nonchè nella strategia politica collaborazionista di Togliatti. La figura dello “intellettuale organico” aderiva all'ideale di militanza nel "partito nuovo" sostenuto da Togliatti dopo la cosiddetta “svolta di Salerno” e perseguito fino alla crisi dello stalinismo in Unione Sovietica: (44) ricordiamo infatti che in questa prima fase il Partito era attivo sul piano parlamentare e partecipò ai governi borghesi Parri e De Gasperi. Durante il V congresso la Segreteria del PCI aveva infatti proclamato la costruzione e difesa della Repubblica parlamentare prioritarie, decidendo di portare il partito "sul piano elettorale", attraverso “la valorizzazione del suffragio quale arma fondamentale per conseguire trasformazioni politiche e sociali”. (45)
* * *
(43)
Non a caso si parla di “nuovo umanesimo”. Le direttive agli scrittori e artisti comunisti, almeno nel primissimo
dopoguerra, non saranno univoche; il tema principale della ricerca estetica ruota comunque attorno ad una questione
dettata dallo Ždanovismo, la "forma nazionale, contenuto socialista" delle opere, cioè la ricerca (o
costruzione) di un'identità culturale socialista italiana, tradizione che si distacchi dalla cultura decadente e borghese,
sprovincializzandola anche; ma anche che sia in linea con i dettami del marxismo-leninismo. In sintesi, come spiega
Alicata durante il V congresso del partito : "Noi dobbiamo combattere la lotta per sprovincializzare la cultura
italiana (...) C'è una cultura vecchia in Italia non semplicemente perchè c'è stata una crisi della cultura umanistica
– noi dobbiamo sanare questa crisi (...) ma anche perchè nella cultura italiana ci sono i residui ideologici della
arretratezza della società italiana.(...) Far fare dei passi avanti al nostro Paese sul piano della struttura sociale ed
economica significa far fare dei passi avanti alla nostra cultura(...)". (N. Ajello, Intellettuali e PCI,
cit., p. 64). Alicata discute qui della necessità di "creare un nuovo umanesimo" e superare l'idealismo crociano, in
ambito filosofico:crocianesimo da cui proveniva buona parte dell'intellighenzia che aderì al partito durante la lotta
resistenziale e dopo la Liberazione. La problematica sulla ricerca di una tradizione nazionale riceve infatti una spinta
importante dalla pubblicazione nel 1950 di Letteratura e vita nazionale, di Antonio Gramsci, non a caso
presentato da Salinari come strumento di battaglia culturale e non “appunti stesi da una carcerato per
svagarsi”: l'opera presenta in maniera organica la teoria sulla cultura nazional-popolare, progressiva, utile a
dar voce alla miseria delle masse e interprete del loro disagio perchè legata alla lotta politica per il rinnovamento
delle strutture sociali ed economiche: “La premessa della nuova letteratura -scrive Gramsci, in quella che
sarà la formulazione più citata del concetto di nazional-popolare – non può non essere storica, politica,
popolare”. (Sulla “scoperta di Gramsci” cfr. N. Ajello, Intellettuali e PCI, cit., pp. 105-112; sullo
Zdanovismo Cfr. György Lukács, Marxismo e politica culturale, Torino, Einaudi, 1977, pp. 104 e segg.).
(44)
Per comprendere la cosiddetta “svolta di Salerno”, impressa da Togliatti al PCI al suo ritorno in Italia (27 marzo
1944) e l’esigenza di costruzione di un “partito nuovo” bisogna considerare l'importanza del documento con cui si
approva lo scioglimento della III internazionale nel maggio del 1943, redatto dal Presidium dell'Esecutivo del
Partito Comunista Sovietico: in sintesi, il documento di Mosca indicava quale compito attuale delle masse la
distruzione del blocco hitleriano e l'appoggio completo alla guerra di liberazione, per la creazione di nuove
condizioni favorevoli allo sviluppo del socialismo; questo senza accennare alla lotta di classe nè alla lotta contro il
capitalismo, mettendo quindi da parte i principi del marxismo rivoluzionario senza operare un rinnovamento o una
sostituzione delle prospettivesul piano ideale. Il proletariato fu influenzato “non già da principi che si collegano
all'interpretazione leninista del marxismo, bensì da un'ideologia diversa, ma che si qualifica comunque come
marxismo-leninismo e che nasce dalla confluenza dei tratti ideologici dello Stato sovietico, dei motivi del
gradualismo , di alcuni elementi (...) del pensiero leninista” (G. Galli, Storia del PCI, cit., p. 138). I nuovi
obiettivi del Partito comunista russo, derivanti dalle contingenze belliche, erano attuabili solo attraverso la
collaborazione con gli alleati, che avrebbe permesso la sconfitta di Hitler, nonchè l'ampliamento della propria
influenza grazie allo sfruttamento della vittoria militare.Si escludeva qualsiasi possibile scontro con le forze alleate
(Non a caso venne qui sciolta proprio la II internazionale, giudicata strumento di politica estera dei sovietici), così
come la costituzione di poteri rivoluzionari autonomi, che avrebbero potuto sottrarre alla propria influenza il
movimento operaio internazionale.L'Urss indusse quindi i partiti comunisti occidentali ad agire in senso moderatore
sia per fornire prova della sua lealtà agli alleati, sia nell'ottica di evitare la costituzione di contrasti sociali o di un
movimento operaio radicalizzato e fuori dal controllo sovietico. Tali esigenze di gradualismo vennero applicate a
Togliatti nella fondazione del Partito Nuovo: “al centro della nuova strategia abbozzata da Togliatti era il nesso
fra rivoluzione e riforme, tra autonomia e unità, conflitto sociale e politica istituzionale, come un lungo processo,
un'avanzata per tappe (...) Occorreva inoltre trasformare le masse subalterne in una classe dirigente alternativa
capace di organizzare la lotta sociale e di gestire i parziali spazidi potere via via conquistati” (Tranfaglia N.,
Il Partito che voleva volare, “L'Unità”, 20 ottobre 2009, direttamente consultato) nel quadro del sistema
democratico parlamentare. L'ostacolo maggiore fu oviamente l'avvio della Guerra fredda e la collocazione dell'Italia
nel blocco filoamericano. Sarà il XX congresso del PCUS, nel 1956, a segnare la crisi di tale modello staliniano di
partito, da cui già la dirigenza comunista russa e gli intellettuali vicino al partito avevano preso le distanze dopo la
morte di Stalin. Cfr. György Lukács, Marxismo e politica culturale, Einaudi, Torino, 1977).
(45)
(G.Galli, Storia del PCI, cit., p. 170 in particolare il documento cit. alle pp. 19 e 22: La politica dei comunisti
dal V al VI congresso: risoluzioni e documenti a cura dell'ufficio di segreteria del Pci, La stampa moderna,
Roma, 2 marzo 1946).
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