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le lotte corrisposero forse in parte adun modello politico (...) definito da una conflittualità difensiva 'di scarso rilievo sociale', nel senso che le sue potenzialità eversive erano controllate da un sindacato accentrato e debole. (68)
La formazione dei quadri sindacali, almeno fino ai primi anni Sessanta, restò delegata al PCI, ai "corsi di Partito che ti forgiavano sul terreno di una capacità rivoluzionaria. Allora si diceva, c'era una formula..."il dirigente rivoluzionario di professione". (69) "Così ci si tuffò nell'appassionata lettura di Gramsci, i cui primi Quaderni (...) uscirono prestissimo, dal '48 al '51 (...), mentre i corsi organizzati dal partito e dal sindacato davano una cultura in pillole fatta di analisi storico-filosofiche della società, piuttosto che agguerriti strumenti di analisi economica". (70)
Inoltre agli operai il partito richiede di diventare “produttori” di cultura: nei reparti delle grandi aziende a partecipazione statale, essi apprendono i rudimenti del lavoro giornalistico e si cimentano nella redazione di bollettini e periodici. I giornali di fabbrica nascono come strumento per: "imprimere una direzione unitaria d'azione, dare una coscienza di classe anche agli elementi meno sensibili e combattivi, trovando una piattaforma comune che, dalle rivendicazioni economiche agli indirizzi produttivi, alle lotte che interessano la classe nel suo complesso, faccia progredire tutto il movimento". (71)
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