Inoltre nella teoria di Ford un rialzo dei salari è derivato dal progresso economico raggiunto e dal continui perfezionamenti. L'alto salario inglese risultò prima prodotto da una particolare situazione economica del dopoguerra, comune a tutti i paesi, e dal deprezzamento della moneta, poi dal crescere del valore della sterlina di fronte alle altre monete. Non fu quindi un derivato di un miglioramento produttivo, ma un costo imposto dalla produzione.
Ne viene di conseguenza che non vi fu per niente la correlazione tra alto salario e riduzione di costo e di prezzo, ma l'alto salario si pose come elemento di costo e di prezzo sempre più grave.
La rigidità dai salari e dalle organizzazioni operaie influì quindi grandemente nell'aggravare la crisi inglese, perché costituì un importante fattore di squilibrio economico a ostacolò la trasformazione dall'economia britannica.
Inoltre l'alto salario rigido, riducendo i profitti, diminuì l'incentivo all'investimento e alla produzione e facilitò l'emigrazione del capitale. Anche questo effetto economico ere grandemente dannoso, poiché la riorganizzazione industriale necessitava di capitali disposti ad investirsi.
E' però da notare che una diminuzione del salari nelle industrie direttamente esposte alla concorrenza internazionale, avvenne, sia pure in misura non paragonabile alla rivalutazione della sterlina. Solo nelle industrie non esposte o "sheltered" i salari crebbero, qualche volta anche nominalmente. La causa della resistenza dei salari, che ebbe fasi drammatiche, come nel 1926, va attribuita alla forza politica della organizzazione operaia.
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