Per arginare il panico sempre più crescente, il governo fece allora ricorso, ai grandi mezzi e rimise parzialmente in vigore la disciplina dei cambi instaurata verso la fine della guerra.
L'Istituto nazionale dei Cambi, creato col Decreto Luogotenenziale dell'11 dicembre 1917, dopo aver esercitato il monopolio del commercio delle divise non ne assicurava più che un vago controllo a partire dall'epoca in cui fu emesso il Decreto-legge del 13 maggio 1919. Il Governo fascista per combattere la speculazione ne ripristinò l'autorità. La libertà delle operazioni di cambio fu proibita: solo potevano essere eseguite dalle banche aventi un capitale sociale determinato e per l'interesse del commercio, dell'industria e dei viaggiatori. Ogni domanda di divisa straniera doveva essere accompagnata da una giustificazione dell'impiego a cui essa sarebbe stata destinata e le banche erano responsabili davanti all'Istituto dei Cambi, dell'esecuzione degli ordini di compera di monete straniere non basata sopra un fondato motivo.
Anche questa disposizione raggiunge l'effetto contrario: alimentò ancor più il panico già esistente e durante la primavera e l'estate del 1926 la lira andò alla deriva.
Il Governo e la Banca d'Italia decisero allora d'intervenire sul mercato dei cambi. Con un energico discorso il Duce annunziò la sua volontà di difendere la lira, facendo della stabilità di essa una questione di prestigio nazionale.
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