Da allora l'Inghilterra non essendo più un paese nel quale secondo i termini stessi del decreto di stabilizzazione, "è in vigore la convertibilità dei biglietti in oro" le divise inglesi non potevano più entrare fra le riserve imposte per la copertura della lira. Di più la svalutazione della sterlina imponeva una perdita netta ai detentori di questa moneta e l'attivo della Banca d'Italia ne subì la spiacevole conseguenza.
Grazie alla politica preveggente della Banca che già aveva convertito una frazione importante delle divise della sua riserva, la lira poté sopportare la sospensione del tallone oro in Inghilterra. Di più la lezione servì utilmente e questo avvenimento fu il punto di partenza di una ripresa attiva nell'eliminazione delle divise dalla riserva a profitto della copertura metallica Però il ribasso della sterlina e il deficit della bilancia dei pagamenti internazionali causarono una contrazione delle divise superiore all'accrescimento dell'oro; di guisa che se la copertura della lira guadagnò in solidità, perdette in quantità. Affinché la divisa italiana non fosse compromessa dalle riduzione della riserva, la Banca d'Italia dovette accentuare la deflazione monetaria con energiche contrazioni del volume della circolazione e dei suoi impegni. Non avendo una quantità d'oro sufficiente per garantire la totalità dalla sua circolazione, essa doveva, o seguire l'esempio anglo-sassone e rassegnarsi alla svalutazione della moneta oppure abbassare il livello dei suoi impegni, conformemente alla sua propria dottrina. E verso questa seconda soluzione ch'essa diresse i suoi sforzi.
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