Se taluni generi sono lasciati liberi di elevarsi di prezzo, e altri no, abbiamo uno spostamento di tutta la struttura produttiva: il capitale lentamente abbandona le industrie che producono i secondi generi e si rivolge di preferenza al primi. Ed ecco un nuovo scompiglio anche dei costi comparati nel commercio internazionale.
Se i salari devono elevarsi in proporzione alla svalutazione della moneta, anche i prezzi devono seguire la stessa tendenza. Altrimenti ribassano i profitti; i produttori marginali scompaiono; abbiamo disoccupazione; e, per gli opera i presi in massa, è perfettamente inutile sapere che il salario deve elevarsi del 25%, quando, con questa disposizione, l'occupazione si riduce in proporzione.
6°- E' altresì erroneo, quando si altera il valore della moneta, fare una politica di aiuto a certe particolari industrie, in confronto di talune altre. Dopo la guerra mondiale, molti Stati non nascosero le loro preferenze per l'agricoltura ad esempio, più che per l'industria; e altri adottarono la via opposta. Come osservarono prima il prof. Cassel e poi il "Macmillan Report", questi interventi che volevano opporsi agli effetti di particolari misure monetarie prese dagli Stati stessi, costituirono una delle cause della rottura dei rapporti fra i prezzi e i costi delle varie forme di attività economica: rottura che sbilanciò completamente l'economia mondiale.
Se lo Stato, ad esempio, favorisce, "comparativamente" ai prezzi industriali, i prezzi agricoli, è evidente che i terreni salgono di prezzo, le rendite si accentuano, il capitale nuovo diserta le industrie manufattrici; abbiamo disoccupazione da una parte e alti salari dall'altro; l'economia si trasforma, non sotto l'impulso normale di una variazione di una domanda dei consumatori, ma per le ideologie dei poteri pubblici, con evidente distruzione immediata di ricchezze, modifiche della politica doganale, ecc.
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