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Dieci passi verso l'azzurro, romanzo di Giuseppe Di Febo, (Seneca Edizioni, 2008)
Recensione di Paolo Martocchia
Un romanzo che osa gettare uno sguardo sui nostri sentimenti di fronte alla richiesta d’aiuto di un disabile è di per sé motivo d’encomio, per l’autore e per l’editore. Non bastano le leggi speciali e l’associazionismo, le innumerevoli iniziative sociali e le arringhe degli uomini di mondo bravi solo a parole: la disabilità resta un filone appannaggio di pochi editori, sempre più protesi verso i “best seller” e sempre meno interessati a divulgare e far conoscere tutte quelle tematiche sociali, che ciascuno di noi potrebbe conoscere approfonditamente e comportarsi conseguentemente. Del resto, il ruolo principe dell’editoria è proprio questo; va dunque tributato alla Seneca edizioni il principale riconoscimento , per aver affrontato questo tema e per aver coinvolto Giuseppe Di Febo, alla sua prima fatica, nel romanzare “Dieci passi verso l’azzurro”.
Già il titolo è esplicativo: “Ricordati dei dieci passi – dice Riccardo all’amico disabile Andrea – quelli che permettono l’espressione delle tue meravigliose potenzialità. I dieci passi, quelli dell’amore, del riscatto, continua a percorrerli verso quell’azzurro, che porta dalle tue figlie” (pag. 62). Tutti possono amare, vivere intensamente la propria vita spesso lottando contro di chi, sopraffatto dall’ingratitudine di una moglie che di nome fa Genoeffa, lacera e tronca gli affetti sinceri; tutti possiamo superare il dolore del mondo (l'umano grido si diffonde come profumo), e Riccardo ne rappresenta il vessillo più ardimentoso, più forte e più fiero. E’ lui il principale protagonista del romanzo, scritto con sobrietà, più che fruibile dal lettore, dove Di Febo scrive con rabbia della sua capacità d’amare: non soltanto il suo amico Andrea, ma tutti gli affetti dal Parkinson, tutti gli Andrea privati dei più elementari diritti civici.
Nel romanzo di Di Febo si ritrovano i temi che bene o male tutti coloro che hanno a che fare con i disabili devono affrontare: la visione fatalistica sottesa all’atteggiamento dei medici, la gerarchia dell'handicap, la sensibilità, la facile retorica, la lotta doverosa. Solo alla fine ci si convince un po' di più che qualunque disabile, per quanto grave sia il suo handicap, è una persona come tutte le altre mentre ben difficilmente viene trattata come tale. Eccezion fatta per l’amico Riccardo, il laico, ovvero colui che “va realizzando la sua esistenza su una pervicace razionalità”. Riccardo sostiene Andrea nella riconquista della patente, nel ricomporre il legame con le figlie, nell’acquisizione della pensione; lo consiglia davanti ai medici, alle forze dell’ordine ed ai negletti che lo prevaricano nella fila davanti alla cassa del supermarket. Infine, Riccardo appoggia Andrea sino alla “sorprendente rivincita” nei confronti della moglie-arpia, capace d’idolatrare il solo dio denaro.
Riccardo vince anche la battaglia per quei dieci passi: “Li ho percorsi amico mio, grazie a te – dice Andrea (pag. 136) – mi rimane l’ultimo, quello più importante che mi avvicina all’origine delle sensazioni e dei sentimenti, di cui abbiamo solo traccia in questa vita, da seguire per raggiungere l’azzurro dei cieli”; infine lo accompagna sino all’ultimo giorno quando, dopo aver incontrato Suor Margherita ammette di “essere profondamente cambiato:l’esperienza di Andrea mi aveva fatto misurare con qualcosa che andava oltre i miei calcoli terreni.
Come Riccardo, anche noi dobbiamo mettere a frutto i talenti ricevuti. Scriveva San Paolo ai cristiani di Corinto: “Se anche parlassi la lingua degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o come un cembalo che tintinna. E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla”. Senza la carità, quindi la nostra fede sarebbe inutile, non produrrebbe alcun frutto. Vivere la fede vuol dire fornire una risposta ai bisogni dell’uomo, spirituali e materiali, di ogni uomo, ricco o povero che sia.
Per questo ringraziamo Giuseppe Di Febo per avercelo ricordato.
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