(A questo punto s'ode un suono di corni)
SANTUCCIO - (come svegliandosi) Le bande chiamano a raccolta, per la partenza. Il tempo è inesorabile nella sua corsa. Dobbiamo andare. Il nuovo giorno, secondo i patti, ci dovrà trovare oltre i confini.
CINZIA - E i ladri di Spagna, liberi di voi e nello spirito della rapina, stringeranno vieppiù le catene della schiavitù.
(S'odono ancora i corni)
SANTUCCIO - Dobbiamo andare. Ma per un momento vado ad inginocchiarmi, nella vicina chiesa, dinanzi a S. Antonio abate, mio protettore.
(Esce accompagnato da Barbara. Fuori la notte è rischiarata dalla luna, tra lo sfolgorio delle stelle, nel cielo sereno).
SCENA SECONDA
CINZIA - (rimasta sola con il suo Giulio, con molta mestizia) Quante vicende nella nostra vita!
MONTECCHI - Vicende che con le luci e le ombre, le gioie e i dolori, sanno di romanzo. Però sempre di conforto le care ricordanze.
CINZIA - Come caro è il ricordo della notte di Mosciano.
MONTECCHI - Notte d'incanto, nel giardino fiorito, avvolto di poesia.
CINZIA - E delizioso era il canto che sgorgava nel nostro cuore.
MONTECCHI - E con le gioiose promesse della giovinezza.
CINZIA - E ora? Funesti presentimenti, molto buio, molta tristezza. Dinanzi a voi vi è la guerra, la morte. Non partire, Giulio, non partire.
MONTECCHI - Da te, Cinzia, un tale consiglio?
CINZIA - Perdonami. Le parole del maledetto mago di Nepezzano, da te riferitemi, che risuonò nel mio intimo, mi turbano la ragione.
MONTECCHI - Talvolta non vi è forza, Cinzia, che possa arrestare il compimento di certi eventi. Dinanzi a questi eventi, figli del destino, non rimane che chinare il capo, rassegnati, ed ubbidire. Ubbidire e attendere il ritorno, dopo il buio, della luce. E poi, anche Barbara rimane sola.
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