Umberto Adamoli
Nel turbinio d'una tempesta
(dalle pagine del mio diario. 1943-1944)



La tedesca rabbia

[11] A Teramo, sino a quel momento, non vi erano stati Tedeschi. Quando si diffondeva la voce, che provocava molto panico, che una colonna, proveniente dall'Aquila, vi si avvicinava, nascevano, tra le autoritą responsabili, molte discussioni. I pareri non erano concordi su la condotta da tenere nei suoi confronti. Anzi, si produceva a tal riguardo, tra il Comandante del Presidio, colonnello Leopoldo Scarienzi, ed il capitano dei carabinieri Ettore Bianco, un vivace diverbio, dal quale si rilevava, con dolore, il rallentamento di quello spirito di disciplina, che era stato, nel passato, vanto dell' esercito italiano. Ma forte dell'autoritą, che gli derivava dal proprio grado, le disposizioni del colonnello, che concordavano con quelle impartite dal governo, avevano il sopravvento. Di conseguenza, quando la colonna, costituita da pochi autocarri e da pochi soldati, giungeva, si lasciava passare indisturbata.
Una tale determinazione non soddisfaceva l'ardente capitano, che mosso, evidentemente, da giovanile impulso, aveva ancora per il superiore vivaci parole; nč soddisfaceva i pił accesi antitedeschi, che, se non proprio la distruzione, volevano di quella colonna certo la cattura. Poichč s'annunziavano altri arrivi, i dissidenti, tra cui alcuni ufficiali, per poter agire liberamente, deliberavano, in un consiglio, di costituirsi in bande, per iniziare dalla montagna la ribellione e la resistenza armata.
Il capitano Bianco trovava un valido sostenitore nel dottore Mario Capuani, coadiuvato, a sua volta, da un' altra schiera di giovani. Il Capuani, anzi, nel suo acceso fervore, voleva senz' altro lanciare alla popolazione, con apposito manifesto, un invito alla insurrezione. Ma ne era sconsigliato, e a giusta ragione, da coloro che ritenevano di non scoprirsi ancora, non soltanto per meglio organizzarsi, ma anche per meglio conoscere le intenzioni degli Alleati, nelle loro operazioni, sul territorio nazionale. Da una mossa non bene ponderata, o prematura, potevano derivare conseguenze molto funeste.
Il manifesto non si pubblicava, ma si facevano altre riunioni, in posti diversi, per concretare, comunque, un piano organico d'azione.
[12] Non tardavano, intanto, molti a raggiungere il bosco Martese, localitą scelta per l'inizio delle operazioni, dove si trovava gią, per caso, con armi e munizioni, una batteria del 49. reggimento artiglieria, al comando del capitano Giovanni Lorenzini.
Raggiungevano, inoltre, il bosco con il t. colonnello Guido Taraschi, altri ufficiali, tra cui il capitano dei carabinieri Carlo Canger e il capitano di artiglieria Gelasio Adamoli.
Il movimento non sfuggiva alla cittą, che udiva di notte, nelle strade, gente affaccendata e il rumore di quegli autocarri, che trasportavano nel luogo dell'adunata, con nuovi aderenti, il necessario vettovagliamento, prelevato dai magazzini militari e fascisti.
Il maggiore Luigi Bologna mandava, con la sua macchina, condotta dal figlio ventenne Giulio, due stazioni radio, trasmittente l'una, ricevente l' altra, in dotazione alla sua caserma.
Io osservavo e, per la mia carica, tacevo; ma il prefetto Elmo Bracali, da poco giunto dalle rovine di Napoli con molta esperienza, riteneva d'intervenire, per dare qualche utile consiglio. Il capitano Bianco, al quale parlava, presente il Bologna, pareva che non disdegnasse i suggerimenti; ma una volta fuori della Prefettura faceva a suo modo, e prendeva anche lui la via della montagna.
Accorrevano, inoltre, ad ingrossare quelle bande, essendosi divulgata la notizia della loro costituzione, anche stranieri, tra cui qualche ufficiale, fuggiti dai campi, ove stavano o come internati, o come prigionieri.
Tutto pareva che andasse conformemente ai disegni dei pił arditi. Ma in molti altri, non sembrando che i Tedeschi fossero disposti ad andarsene, non tardavano a sorgere dubbi e preoccupazioni.
La mattina del 25 dello stesso settembre, infatti, verso le ore cinque, piombava dalla Specola su Teramo, come tempesta, un battaglione autocarrato, al comando di un duro capitano prussiano. Occupata la cittą e disposto, nei punti pił importanti, un servizio di sicurezza, quei Tedeschi, dalla caserma Costantini, si recavano ad assediare quella dei carabinieri, nella quale era stata, effettivamente, organizzata la rivolta. Di lą, con il telefono, invitavano il maggiore Bologna, che era ancora in casa, a recarvisi subito, ciņ che faceva, senza preoccuparsi dei pericoli, cui poteva andare incontro.
Dinanzi a quella caserma, contro la quale infieriva, pel momento, l'ira teutonica, prelevato dal mio gabinetto podestarile, da un drappello fortemente armato, comandato da un tenente, e caricato su un autocarro, tra la curiositą e i commenti del pubblico, ero condotto anch' io, come ostaggio, quale capo della cittą.
[13] Il fatto, che molto impressionava, produceva molto fermento e propositi ardimentosi. Un gruppo di giovani, in collegamento forse con le bande della montagna, armati di bombe e di rivoltelle, si erano proposti di tentare la mia liberazione. Intenzione, certo, encomiabile, gesto degno di storico ricordo, ma in quel momento, dinanzi a quella soverchiante rabbiosa forza avida di sangue, funeste ne sarebbero state per me, per la cittą e per gli stessi giovani, le conseguenze. Per fortuna, poco prima di lanciarsi all' assalto, capitava tra essi il brigadiere dei Vigili del Fuoco, Armando D'Amico, il quale con fatica riusciva ą richiamarli alla realtą della situazione. S'allontanavano, č vero, ma per correre ad appostarsi nei pressi del ponte della stazione, per tentare colą la mia liberazione, qualora fossi stato condotto altrove.
Quella caserma, intanto, guardata attorno da una siepe di cannoni e di mitragliatrici, era, nel modo pił brutale, svaligiata. Il sangue, dinanzi a tanto scempio, ribolliva nelle vene; ma purtroppo non si poteva che guardare con le braccia incrociate, non avendo pił quelle armi, con cui avremmo dovuto difendendoci; rintuzzare la violenza, tutelare il nostro onore.
Anche i carabinieri, non avvezzi a piegare, frementi nell' impotenza, erano brutalmente disarmati. Le stesse loro armi erano, poi, gettate, con violento disprezzo, dall'iroso straniero, su un autocarro, come preda di guerra. Il pubblico, trattenuto di lą dal cordone, guardava e mormorava.
Dopo un'attesa incerta di qualche ora, ed un breve colloquio con un colonnello, tra il generale sollievo, ero lasciato libero. Era trattenuto, invece, e trattato aspramente, il Bologna, Nel saluto che ci scambiammo, quando gli passai vicino, si poteva leggere tutta la tempesta che, per quella nostra sciagurata situazione, tumultuava in fondo al nostro animo.
Una volta libero tornavo al mio ufficio, ove ero atteso con molta ansia. Tornava con me l' ottimo funzionario del comune Gino Di Francesco, che, in uno squisito senso di devozione, con suo rischio, mi aveva voluto accompagnare volontario in quella pericolosa avventura.
Nello stesso giorno, in quella stessa piazza del Carmine, nelle vicinanze della Chiesa, accadeva un fatto molto grave. Un uomo della campagna, modestamente vestito, si era avvicinato, timido e bonario, ad un gruppo di quei soldati. Evidentemente doveva conoscere, forse per essere stato in Germania, qualche parola della loro lingua. Alcune donne, non molto lontano, con i capelli arruffati, con gli sguardi torvi, ne osservavano, con sospetto, i movimenti. Quando pareva loro che quell' uomo, ritenuto spia, desse a quei soldati indicazioni sulle posizioni occupate dai partigiani in montagna, esplodevano in un terribile satanico furore. Si lanciavano sul malcapitato, come belve ferite, lo afferravano, lo trascinavano con sč, lo atterravano. Senza alcuna sosta lo percuotevano con zoccoli, sassi, bastoni; gli tiravano i capelli, gli conficcavano le unghie nelle carni. Invano il disgraziato gridava aiuto, invocava pietą. I presenti s'allontanavano, i passanti, inorriditi, affrettavano il passo, andavano oltre. Gli stessi Tedeschi assistevano alla feroce scena muti, freddamente impassibili; nč se ne occupavano, nel generale smarrimento, i carabinieri, nč gli altri agenti della forza pubblica.
[14] Quando in quelle furie l'ira trovava un pņ di tregua, lo sventurato giaceva a terra scomposto e senza vita. Non placate incrudelivano ancora su quel corpo straziato, trascinandolo oltre la piazza, oltre la strada, per gettarlo dal muraglione, sotto il quale passava il fiume.
Era il primo sangue, forse, di un innocente, che bagnava, nella demenza, la nostra civile terra!
In tanta confusione, il prefetto Bracali riteneva opportuno di invitare ad una riunione, in una sala del comune, cittadini di ogni ordine e di ogni idea, per una comune intesa sulla condotta da tenersi nel doloroso frangente. Esposta, nei particolari, la nuova situazione, per il bene della cittą, raccomandava ponderazione su ogni atto, calma, prudenza. Raccomandava di soprassedere, pel momento, nel comune interesse, ad ogni personale iniziativa, di far tacere ogni moto passionale, per continuare ad ubbidire alle disposizioni delle competenti autoritą responsabili. Il pericolo che gravava su la cittą, e per il concluso armistizio, e per la costituzione delle bande dei partigiani, doveva esaminarsi, con cuore d' Italiano, con molta serietą. I Tedeschi, che avevamo ormai in casa, con rabbiosi propositi, avrebbero inesorabilmente spento nel sangue, come
avevano gią fatto in altre localitą, ogni tentativo di ribellione.
Raccomandazioni sagge, veramente paterne, da molti perņ non bene comprese, quindi vivacemente discusse ed anche contrastate.
Si sentiva che la tempesta delle passioni, nel suo tumulto, travolgeva anche i migliori. Invece in quel momento, particolarmente delicato, dovere di ognuno doveva essere il rispetto alle leggi, con la conseguente ubbidienza alle autoritą, che guardavano lo svolgersi degli eventi da un punto di vista molto diverso da quello della comunitą.
Gli scatti improvvisi popolari possono talvolta, con la luce che sprigionano, commuovere e conquistare; ma non sostenuti da una ragionata disciplina, non riescono quasi mai ad innalzare, sulla lotta, la bandiera della vittoria. Talvolta, anzi, aumentano le sciagure, che si intendevano eliminare.

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